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Se non avete voglia di leggere, la sintesi di questa recensione è: "Tutta questione di aspettative".

Concrete Genie ci riporta all'infanzia, a quando non esigevamo titoli dalla grafica "spacca-mascella", a quando non servivano trecento ore di gioco, per sentirci soddisfatti o venti tipi diversi di quest secondarie per intrattenerci.
Il gameplay di CG non possiede una grande varietà, anzi, per gran parte del tempo mantiene sempre lo stesso stile di gioco, piuttosto evanescente nelle sue caratteristiche. Di concreto, però, qualcosa esiste ed è la nostra fantasia. Noi giocatori siamo chiamati in prima persona a colmare i solchi lasciati dalla superficialità di questo videogioco, proprio tramite quell'immaginazione che eravamo soliti usare da bambini, anche con avventure mediocri.
Tutto quello che dovremmo fare per la maggior parte del tempo sarà dar vita con il nostro pennello magico ai grigi muri di Denska, una cittadina portuale inquinata e disabitata, ad eccezione di un gruppetto di giovani bulli che proveranno a metterci i bastoni tra le ruote.
Tralasciando la scialba e retorica parte narrativa incentrata sul bullismo, delicato argomento che avrebbe meritato una più approfondita e seria analisi, la peculiarità di questo gioco è senza dubbio la pittura, che saremo noi stessi a gestire in prima persona, muovendo e inclinando pad come se fosse un pennello. Certo, i disegni sono già precostruiti, ma dovremo attingere al nostro estro artistico per modificarli o combinarli tra di loro. Alla fine di ogni "lavoro" daremo vita non solo a meravigliosi murales, ma anche a vere e proprie creature, che ci aiuteranno, in maniera diversa a seconda delle proprie caratteristiche, a risolvere enigmi ambientali e a depurare la città.
Il gameplay loop è piacevolissimo e soddisfacentemente personalizzabile, non solo nell'immediato ma fino alla fine della storia; a seconda di quello che disegneremo, animazioni, cutscene ed estetica di alcuni personaggi si adatteranno infatti alla nostra arte.
Alla fine il gioco è tutto qui. Una piccola perla deliziosa e divertente, imperdibile e preziosa.

O meglio, questo sarebbe stato l'ideale, se solo il team di PixelOpus non avesse voluto andare oltre, forse nel tentativo di raggiungere le alte aspettative causate dall'essere una esclusiva first party di Sony.

Oltre alle sezioni "artistiche", verranno aggiunte delle insignificanti parti stealth, del tutto evitabili, e una più consistente parte action, tristemente ingestibile. Tutto questo non ha senso di esistere, rovina solo l'esperienza rilassata e intimistica che poche produzioni odierne riescono a fornire.
Inoltre, sebbene la direzione artistica di questo gioco sia eccellente, con uno stile quasi fumettistico e le animazioni che si rifanno alla tecnica stopmotion, il suo aspetto tecnico lascia molto a desiderare a causa di un framerate ingiustificatamente instabile e di alcune imperfezioni grafiche, quali pop up a schermo o texture dalla scarsa risoluzione.
Aggiungiamo a tutto questo dei dialoghi imbarazzanti per la loro banalità e per il loro slang da "falsi giovani", tanto caro a chi di gioventù reale sa poco e niente. L'unico personaggio scritto bene, per cui arrivi ad empatizzare, e anche tanto, non parla proprio, e ciò significa parecchio.

Il problema più grande di Concrete Genie è la sua natura di esclusiva PS4 (e PSVR), che va a "snaturare" la sua vera essenza, quella di gioco indipendente sperimentale. In questo modo si sono create troppe aspettative su un'opera che, pur di raggiungere l'altezza minima richiesta da certi standard, si sforza di rimanere per ore faticosamente in punta di piedi. E purtroppo si nota.
Ciò mi crea un grande dispiacere, poiché esperienze simili non capitano tutti i giorni nel panorama videoludico e di Concrete Genie, nonostante tutto, mi rimarranno solamente bei ricordi. Da giocare.

L'arte è comunicazione silenziosa, una linea sottile che unisce i cuori delle persone, anche quelli apparentemente molto distanti l'uno dall'altro.

Bluepoint Games è una software house dall'enorme talento, che, nonostante un esordio nel settore non proprio esaltante, meriterebbe di ricevere tutto il budget possibile per creare un proprio gioco originale, senza passare per remasterizzazioni, porting o remake.
Ad oggi, tuttavia, solo di questi dobbiamo accontentarci (e goderci).

Demon's Souls rappresenta indubbiamente una delle produzioni, in esclusiva Playstation 5, più importanti della nona generazione, specialmente in relazione al comparto grafico. Già con Shadow of the Colossus, in uscita su PS4, si poteva notare tutto il talento degli sviluppatori americani nella cura della realizzazione di ogni dettaglio estetico e dalla rielaborazione artistica del materiale originale, tanto reimmaginata quanto fedele, regalandoci paesaggi maestosi a perdita d'occhio. Con la stessa qualità, anzi, con le dovute migliorie rese possibili grazie all'hardware di nuova generazione, è venuto alla luce il remake dello storico Demon's Souls, un diamante grezzo che avrebbe portato alla creazione di Dark Souls che, a sua volta, avrebbe rivoluzionato il mercato videoludico.
Nel mettere mano ad un'opera di così grande importanza ci sarà sicuramente stato un certo timore reverenziale tra i dev, che purtroppo si è manifestato in alcuni aspetti del gioco in questione; dal ritmo del combattimento alle meccaniche di peso, Demon's Souls Remake non coglie l'occasione di privarsi di elementi ludici che già ai tempi risultavano datati, la cui assenza tuttavia non avrebbe snaturato l'essenza dell'action jrpg di From Software. Il level design di alcune aree di gioco continua a risultare artificiosamente difficile e poco soddisfacente da esplorare, mentre in altri casi si ha la situazione opposta, in cui viene enormemente premiata l'esplorazione, sia ludicamente che visivamente.
All'interno di Demon's Souls, inoltre, sono presenti certe meccaniche che non vengono onestamente spiegate, magari tramite indizi segreti o tutorial, e questo un po' rovina, non tanto la prima, quanto l'esperienza del ng+.

Tuttavia, per quanto siano comprensibili queste ruvidità non eliminate dal gioco, giustificabili con il senso di continuità con l'originale, è inspiegabile come Bluepoint Games e From Software abbiano mancato l'enorme occasione di rimediare alla più grande mancanza di Demon Souls: la sesta arcipietra. Originariamente, tale livello, fu cancellato dalla produzione per una mancanza di tempo e budget, dunque sarebbe stato perfetto se fosse stato inserito in questo remake, rinato dai progetti e dagli appunti del team di From. Ciò, purtroppo, non è mai avvenuto, lasciando l'amaro in bocca non tanto a chi giocava a DS per la prima volta (me compreso), quanto ai fan di vecchia data, dai tempi PS3.

Un altro aspetto rimesso a nuovo in questo remake è la colonna sonora, sempre molto fedele all'originale ma con diverse tonalità, molto ben riuscite, che donano all'opera un'aura di maggior mistero e di una, per così dire, "epica rassegnazione", manifestata tramite le storie dei personaggi che incontreremo, la quale delineerà l'evanescente lore del mondo di Boletaria & Co.

Pertanto, a far da contraltare ad un gameplay vecchio e spigoloso, ci pensa l'eccellente direzione artistica e sonora, oltre ad una bellissima storia introspettiva ed esistenzialista, nata dalla penna di un allora inesperto (ma futuro maestro) Hidetaka Miyazaki.
Esperienza che ogni possessore di PS5 dovrebbe vivere.

"You fool... Don't you understand? No one wishes to go on..."

Kingdom Hearts è sicuramente un gioco propositivo, che fornisce al giocatore una grande quantità di attività, principali e secondarie, atte a variare il flusso di gameplay con idee interessanti, una su tutte la personalizzazione della propria navicella spaziale e il sistema di abilità.
In teoria, dunque, non ci dovrebbe essere alcun problema... purché anche tutto ciò che le concretizzi sia stato progettato con cura.

No, non è così.

Forse è semplicemente invecchiato male nel 2024, forse è la mia scarsa attrazione verso il mondo Disney a parlare, o magari sto fraintendendo il target di riferimento, ma più ci penso più non mi capacito di come, in 22 anni, KH abbia riscosso un successo tra pubblico e critica tale da arrivare ad essere una delle saghe più impattanti nella cultura popolare e nei cuori dei giocatori.
Registicamente è inguardabile, filmati e dialoghi sembrano andare ognuno per una propria direzione, il sistema di combattimento è legnoso, ripetitivo e con un targeting ingestibile, le fasi di esplorazione sono ingessate a causa dei salti schizzati ed imprevedibili e a causa di una telecamera che esiste per il solo scopo di metterci i bastoni tra le ruote, le sezioni di nuoto o di volo sono ingiocabili, la storia è più infantile, retorica e stupida di un gioco di Super Mario e i personaggi sono perlopiù stereotipati. Potrei continuare ancora a lungo, ma ho reso il concetto; l'unico elemento che non ha colpe, anche perché si poggia su basi già consolidate negli anni, è la colonna sonora di Yoko Shimomura, apprezzabile anche nel materiale originale.

Se l'avessi giocato da piccolo mi sarebbe sicuramente piaciuto di più, ma non sarei stato obiettivo, perché avrei colpevolmente sorvolato su diversi problemi dai quali è impossibile voltare lo sguardo.

Personalmente non lo consiglierei a nessuno, se non agli amanti dei classici Disney e a chi vuole aumentare il proprio bagaglio culturale videoludico, giocandosi un pezzo di (a mio parere "sopravvalutata") storia videoludica.