Da tanto tempo sentivo la necessità di giocare all'opera prima di Benoit Sokal, padre del mio videogioco preferito, ovvero Syberia, ma per qualche motivo ho sempre rimandato l'appuntamento. E ora eccomi qui, a parlare di questa storica avventura punta e clicca.
La poetica dell'autore si iniziava già ad intravedere in questo titolo, in quanto su Amerzone sono presenti i temi fondamentali che faranno da fondamenta per i giochi seguenti. Il dualismo tra natura selvaggia e modernità è un elemento parecchio importante nella narrativa, riscontrato specialmente negli enigmi, mentre alla base della storia si trova il sogno di un vecchio idealista che, incapace di esaudirlo da solo, si affida ad una persona esterna alla vicenda, cioè il protagonista del gioco.
Rispetto ai primi due capitoli di Syberia (gli unici degni di considerazione), qui si respira un aria molto più cupa e umana, scevra da quelle atmosfere fiabesche vissute da Kate Walker, in cui vengono mescolati amore, tradimento, omicidio, potere, razzismo, religione forzata etc.
Peccato per una realizzazione finale un po' raffazonata, senza alcun phatos o climax, in cui i personaggi sembrano far tutto da soli, senza che gli si fosse chiesto o fatto niente.
Pure lo scorretto utilizzo degli effetti sonori, frequentemente buggati e ripetuti in loop senza motivo, ha influito su tale considerazione. Inoltre sono rimasto deluso dalla colonna sonora, praticamente inesistente e poco apprezzabile.
Gli enigmi sono carini, soprattutto quelli della prima parte, ma dal terzo livello in poi diventano sempre più banali e lineari, rendendo questo gioco eccessivamente facile.
La direzione artistica è interessante, riesce a farti immergere in quel mondo selvaggio e ostile di Amerzone, ma la qualità delle immagini e delle animazioni lascia parecchio a desiderare, pure per l'epoca.

Amerzone, probabilmente a causa di un budget limitato, è un gioco molto acerbo, ma fondamentale, perchè senza di esso non sarebbero mai nati quei due capolavori di Syberia e Syberia 2. Quindi non posso fare a meno di consigliarlo a tutti coloro che amano le avventure punta e clicca d'altri tempi, perchè si tratta di un importantissimo pezzo di storia del genere.


Finalmente sono riuscito a recuperare il capostipite di questa storica serie di Hack'n'Slash targata Capcom.
Già sapevo che non si sarebbe trattato di un gioco story based, quanto più di un gioco di azione pura; la trama è solamente un pretesto, utile per dare un contesto al gameplay, ma ammetto che ha del potenziale.
DMC non dura molto, ma in quelle poche ore sono riuscito a divertirmi abbastanza, senza percepire momenti di stagnazione o ripetitività.
Le combo non sono tante, ma quanto bastano per rendere i combattimenti sempre diversi e da permettere al giocatore di ideare tattiche di approccio differenti a seconda del tipo di nemico da affrontare.
La telecamera fissa, spesso molto ravvicinata, si è rivelata più volte d'intralcio all'azione, in quanto, talvolta, occultava i nemici e nascondeva le loro zone sensibili, costringendo così il giocatore ad attaccare alla cieca. Un altro problema di DMC è rappresentato dai checkpoint, non presenti all'interno delle missioni, anche se molto lunghe e complesse, se non tramite l'utilizzo di un raro consumabile; in pratica, se morivi e non avevi nell'inventario una "pietra gialla", ti toccava ricominciare tutto il livello da capo. Molto in stile arcade.

DMC lo consiglio a chi cerca un gioco d'azione senza molte pretese, da giocare ogni tanto nei momenti morti.
Attenzione però a non sottovalutarlo, perché potrebbe mettervi in seria difficoltà quando meno ve l'aspettate.

Opera incompiuta, con delle grandi lacune che offuscano quel poco di buono che è stato inserito in questo secondo titolo della omonima saga hack'n'slash, come un sistema di movimento più fluido e delle ambientazioni diversificate e potenzialmente interessanti.
Carina l'idea di suddividere la storia in due punti di vista, sebbene, in fin dei conti, l'unica run decente sia quella di Dante.
Per il resto DMC2 risulta essere noioso, ripetitivo, nonostante la sua brevità, e senza senso, un gioco in cui le cose accadono... perché sì, punto e basta. La telecamera fissa continua ad essere un problema, ma stavolta ancor più grave rispetto al suo predecessore, in quanto nasconde porte ed elementi fondamentali per l'avanzamento del livello. Poi il gioco è di una facilità assurda... Tranne il boss finale, che in realtà è davvero figo, per tutto il gioco i nemici fanno davvero fatica a colpirti e sono fragilissimi; inoltre, se usi le pistole sei letteralmente intoccabile.

Posso capire la delusione dei fan che, dopo un buon primo capitolo della saga, con DMC2 si aspettavano qualcosa di più, ma alla fin fine non si tratta di un gioco ingiocabile, tale da meritarsi voti così bassi. E' un giochetto tranquillo, con cui poter passare qualche ora a fare due salti e sparare a modelli poligonali. Niente più, niente meno.

Piccola grande delusione. Rispetto al suo predecessore, gioco tanto innovativo da aver inventato un genere, Alone in the dark 2 non innova nulla, anzi, peggiora soltanto sotto diversi aspetti.

La storia è banale e priva di fascino; si passa dall'horror lovecraftiano, raccontato sotto diversi punti di vista tramite documenti nascosti da trovare in giro per la casa, ad una stereotipata storia di pirati maledetti, che risulta essere una sbiadita copia di Monkey Island.

Il gameplay è a malapena sufficiente, pieno di bug invadenti e colmo di enigmi improbabili dalla risoluzione del tutto casuale. Inoltre, in questo capitolo la componente horror che ha reso celebre la saga è stata del tutto abbandonata in funzione di uno stile action mal gestito e legnoso.

L'unico aspetto che ho trovato eccellente riguarda la colonna sonora, piena di brani originali e capaci di creare quel poco di atmosfera presente in game.

Nonostante tutto, la parte da "avventura grafica" rimane decente, quindi almeno la sufficienza il gioco se la merita, ma nulla di più. Da giocare solo in caso voleste recuperarvi per intero una trilogia storica.

Sicuramente molti di voi mi ammazzeranno, ma anticipo subito che il voto è parecchio personale, dato che gli hack'n'slash non sono proprio il mio genere.
DMC3 è un ottimo gioco, pieno di cose da fare, nemici diversi, armi diverse, combo diverse e con un ottimo endgame, con tantissimi contenuti sbloccabili. Poi questa saga è famosa per la sua colonna sonora di stampo heavy metal, e questo terzo capitolo risulta il migliore da questo punto di vista.

I problemi però sono due:
1- La difficoltà artificiosa.
Chiariamoci, non mi sto lamentando del fatto che il gioco sia troppo difficile, quanto piuttosto della meccanica ereditata dai vecchi capitoli del: "Se muori o esci dal gioco, ricominci tutto il livello da capo". Questo elemento, unito alla scarsissima distribuzione delle cure e all'ampia durata dei livelli, risulta solamente frustrante e spinge il giocatore medio a giocare in maniera conservativa, senza provare combo o armi poco conosciute, tutto per paura di morire e dover ricominciare da capo. Non viene premiato chi gioca meglio, ma chi usa meglio le pistole.
2- I personaggi.
Qui non siamo più nella sfera del giocato, ma in quella della trama. Okay che DMC non è mai stata una saga story-based, ma qui i personaggi sono scritti proprio male. Un personaggio è letteralmente inutile e se non ci fosse stato la storia sarebbe rimasta identica, con qualche leggero cambiamento, mentre gli altri personaggi sono noiosi e cringe, Vergil a parte. L'unico che aveva del potenziale per diventare un ottimo antagonista alla FF6, scompare dopo pochi livelli, in seguito ad un colpo di scena parecchio deludente.

Per il resto tecnicamente è molto interessante. E' vero che spesso e volentieri le mappe di gioco si ripetono, però nel loro insieme sono strutturate davvero bene e alcune sono davvero stupende, specialmente verso la fine del gioco. Inoltre, il design dei boss è davvero figo, spesso molto ispirato.

Gioco ovviamente stra-consigliato agli appassionati del genere, consigliato con riserva, invece, a chi si approccia per la prima volta a questo genere videoludico.
Ora mi vado a recuperare i manga canonici che completano la storia di DMC3. Magari mi faranno cambiare idea.

Delusione. Delusione totale.
Paradise è il quarto gioco diretto da Benoit Sokal, uscito 3 anni dopo Syberia II.
La storia affascinante, in cui una giovane avventuriera si vede costretta a compiere un viaggio nei meandri più nascosti ed esotici di uno sconosciuto paese situato nel cuore dell'Africa, viene del tutto vanificata da un comparto tecnico altamente insufficiente.
Non parlo solamente di glitch grafici, come distorsione delle ombre o compenetrazione con gli elementi di sfondo, ma di intere sezioni di gioco programmate talmente male che persino il gioco stesso ti fornisce la possibilità di skippare. Ma fosse solo questo il problema...
Purtroppo più volte, nel corso del mio gameplay, sono incappato in bug così gravi da non permettermi di proseguire nel gioco. Per fare alcuni esempi, non potevo salire una scala che subito venivo riportato giù da essa, oppure non potevo iniziare un dialogo con un personaggio fondamentale per l'avanzamento del gioco, o peggio ancora non potevo più muovermi, non importa dove cliccassi.
Letterlamente ingiocabile.
Grazie a questo, unito ad un gameplay piuttosto semplice e banale e ad un comparto tecnico non esaltante pure per l'epoca, Paradise merita un'insufficienza. Non lo consiglio neanche ai fan del genere. Che spreco.

Uno degli indie migliori di sempre, soprattutto considerando che si tratta di un'opera prima.
Con tutti i suoi aggiornamenti, Hollow Knight si presenta come un gioco pregno di contenuti, divertenti e impegnativi, che sapranno mettere alla prova corpo e mente del giocatore.
L'esplorazione della mappa di gioco è sempre premiata e densa di segreti, tali da far sempre scoprire qualcosa di nuovo al giocatore, anche dopo aver terminato la main quest.
Ogni mappa di gioco è unica e caratterizzata in modo sempre interessante, con un'attenzione ai dettagli di background maniacale. Personalmente non ho molto apprezzato la tendenza ad usare quasi sempre colori molto cupi e freddi, ma alla fine rimane in tema con il titolo e l'ambientazione.

Dal punto di vista del genere si tratta di un Metoridvania con tendenze al souls-lite, un'unione di elementi già visti in molte opere analoghe del passato, perciò HK pecca un po' di originalità.
Nel gioco sono presenti moltissimi personaggi con cui dialogare e da cui poter comprendere meglio la lore del gioco, ma non tutti risultano egualmente interessanti, fino ad arrivare a trovare personaggi del tutto abbozzati.
Un altro problema riscontrato, dovuto probabilmente ad un filo di inesperienza dei giovani sviluppatori, riguarda l'interconnessione delle zone; alcune di esse sono parecchio distanti da ogni viaggio rapido e per raggiungerle il giocatore deve ogni volta percorrere un lungo tragitto pieno di ostacoli, il che spegne un po' l'entusiasmo dell'esplorazione, rendendola in certi punti tediosa e ripetitiva.

Al netto di non troppo gravi difetti, Hollow Knight si presenta come un videogioco imperdibile per gli amanti del genere e, perché no, anche ad un pubblico più casual. Occhio a non sottovalutarlo però, altrimenti certe bossfight potrebbero mettervi in seria difficoltà!

Grazie ad una traduzione fan made (but well made) uscita negli ultimi giorni, mi sono convinto a provare questa vecchia avventura grafica targata Hideo Kojima.
Sin dall'introduzione si palesa la profonda ispirazione verso il celebre film fantascientifico "Blade Runner", che tuttavia non sfocia mai nel becero plagio. La storia di Snatcher prende una piega unica e affronta temi differenti, quali il sospetto, la diffidenza verso il prossimo ma anche, in maniera opposta, la fiducia.
Come in ogni lavoro di Hideo, in questo gioco vengono fatte numerose citazioni al suo precedente lavoro (Metal Gear) e al mondo videoludico in generale, in particolare a quello che orbitava intorno a Konami e Sega ed è stato parecchio divertente cercare di individuarne il più possibile.
I dialoghi sono tantissimi, studiati in ogni minimo dettaglio e variabili a seconda delle azioni compiute dal protagonista fino ad allora.
A livello tecnico era un gioco all'avanguardia, molto dettagliato nella rappresentazione degli ambienti, dei personaggi e delle loro animazioni.
Inoltre, su Snatcher era presente un vero e proprio doppiaggio, fatto pure bene, che all'epoca lo rendeva un gioco unico.

Mi ha sorpreso molto il fatto che nonostante sia un'avventura grafica, con forti elementi di avventura testuale, Snatcher sia al contempo un action. Ci saranno infatti diverse fasi shooting che metteranno in difficoltà i giocatori meno preparati. E non solo. Purtroppo, queste ultime non sono ben rifinite, spesso i nemici a schermo sono troppi, non si possono schivare e talvolta, nelle fasi più concitate, i colpi non vanno a segno nonostante la mira sia precisa.

Ottimo gioco, peccato sia relativamente breve. Avrei voluto giocare di più nei panni di Gillian Seed e in compagnia di tutti gli altri personaggi, ben scritti e a cui non ci si può non affezionare.
Consigliato a chiunque, old but gold.

In un periodo storico carente di novità, in cui tutto è la copia di tutto, Cult of the Lamb spicca per la sua freschezza di contenuti.
Sia chiaro, il gioco non ha rivoluzionato nulla, anzi, prende forte ispirazione da altri generi ben noti, tuttavia riesce a mescolarli in maniera davvero intelligente, andando a creare un gameplay divertente e vario.

Cult of the Lamb si propone come una commistione di due macro generi, ovvero il gestionale e il rougelite, entrambi approfonditi in maniera soddisfacente e mai sovrapponibili. Mi spiego meglio: sebbene sia la parte gestionale, estremamente varia e personalizzabile, che quella più action siano fondamentali per il proseguimento del gioco, il giocatore può decidere a quale dedicare più attenzione, senza che l'altra diventi un grande impedimento. Inoltre, se si volesse prendere una pausa da tutto, ci sarebbe anche una terza opzione, rappresentata da alcuni minigiochi (anche se non molti) che si sbloccano nel corso dell'avventura.
Come ho già accennato prima, la sezione gestionale è ricca di cose da fare, di edifici da costruire, di decorazioni con cui personalizzare il proprio "villaggio" etc. L'unico problema in tutto ciò è la relativa facilità con cui viene sbloccata ogni creazione o potenziamento, grazie alla quale riesci ad ottenere tutto a neanche metà del gioco.
La sezione rougelite è molto apprezzabile, sebbene non ci sia una grande varietà di armi o di power up, e il gameplay solido e appagante. Inoltre, possiede un livello di difficoltà tendenzialmente basso ma con qualche picco durante alcune bossfight di fine dungeon.
Lo stile artistico è pazzesco, molto carino e colorato, con una cura per i dettagli abnorme. Ho trovato poi molto interessante il design dei personaggi principali, ognuno con una storia da raccontare su di esso.
La trama di questo gioco è piuttosto semplice e prevedibile, ma il modo in cui viene narrata, con un lessico aulico e toni solenni, riesce a dare l'impressione che si tratti di qualcosa di più profondo. Peccato solo che non sia stato localizzato in italiano, perché con questi dialoghi complicati inevitabilmente qualcosa si perde nella traduzione istantanea.

In sostanza, Cult of the Lamb è un indie molto interessante, tenero e divertente, capace di fornire al giocatore sia momenti più rilassanti e riflessivi sia momenti intensi, nei quali essere messi alla prova senza mai sfociare nell'hardcore (anche a difficoltà elevate). Se non fosse per i temi controversi, come il satanismo e il "gore", presenti all'interno dell'opera, lo consiglierei a chiunque. Perla indie da non farsi assolutamente scappare!

Rigiocato dopo tanto tempo. Non è invecchiato nel migliore dei modi, ma rimane comunque un gioco estremamente godibile e divertente. Padre di tutti gli stealth.

Rigiocato anche questo di recente.
Rispetto al primo MG, questo gioco contiene un minimo, ma affascinante, accenno a quella che sarà, dall'epoca PS1 in poi, la vasta e intricata lore della Metal Gear Solid saga.
La trama è dunque molto interessante, condita da un sacco di colpi di scena, momenti toccanti e personaggi tutti affascinanti.
Ciò che ho preferito meno invece è il gameplay; è vero, le meccaniche di gioco sono rivoluzionarie per l'epoca e danno vita ad una grande varietà di contesti unici e situazioni particolari, però l'eccessiva lentezza dei movimenti e il costante backtracking sgonfiano l'entusiasmo di qualsiasi videogiocatore moderno, interrompendo costantemente il flusso di narrazione.
Ma questo era solo un riscaldamento. La vera partita sarebbe incominciata dieci anni più tardi, con l'avvento di PS1...

Oggi mi sono recuperato un grande classico videoludico: "Castlevania", incluso nella raccolta "Anniversary Collection".
Gioco molto breve ma densissimo di azione, in cui il giocatore deve mantenere alta la concentrazione per tutto il tempo se desidera completare anche solo un livello. La presenza di molti nemici a schermo rende molto complicato l'avanzare del personaggio nella mappa; senza una tattica, e un po' di fortuna, il giocatore andrà incontro a numerosi morti.
Ogni livello contiene numerosi segreti, che possono dunque rappresentare uno stimolo per esplorare al meglio la mappa e setacciare ogni mattoncino o candela in cerca di cure o potenziamenti (fondamentali!).
Tuttavia, il fiore all'occhiello di questo gioco, dal mio punto di vista, è rappresentato dalla colonna sonora, eccellente in ogni parte e incalzante nei momenti più concitati.
La valutazione sarebbe benissimo potuta essere di quattro stelle, ma il movimento del personaggio è parecchio legnoso, le animazioni non possono essere interrotte o modificate nella direzione e le hitbox dei danni nemici sono molto più grandi del dovuto.

L'altissimo livello di difficoltà, unito a certe difficoltà tecniche, rende Castlevania un gioco non accessibile a chiunque, a me in primis, ma nonostante tutto ogni appassionato di videogiochi dovrebbe mettere da parte le proprie reticenze e cercare di appianare le proprie difficoltà per portare a termine uno di quei giochi che hanno saputo porre le basi per gran parte del gaming moderno.

Colonna portante del genere, insieme al suo predecessore.
Più che un sequel, DOOM II è una versione migliorata e meglio confezionata del primo DOOM, che è una sorta di raccolta di livelli pubblicati online su vari forum dell'epoca.

Dal prequel cambia poco. I nemici sono pressoché gli stessi, con qualche aggiunta basata su modelli preesistenti, e il gameplay rimane immutato: per avanzare nel gioco devi utilizzare ogni arma a disposizione per massacrare tutto ciò che si muove, nella speranza di trovare una chiave (o teschio) colorata per sbloccare la fantomatica porta che conduce alla fine del livello.
In DII le mappe da affrontare saranno 30, più due segrete di bonus, e la sensazione di appagamento nell'uccidere i demoni infernali rimane immutata rispetto al predecessore. Come sempre, inoltre, i movimenti del doomguy sono molto veloci e fluidi, questo a beneficio di un gameplay dinamico e libero nei movimenti.

L'unico, grosso, problema che ho riscontrato risiede nel modo in cui bisogna trovare la strada per avanzare. Non sempre, infatti, basterà uccidere tutti i nemici per vincere, ma occorrerà, come detto in precedenza, trovare le tre chiavi colorate che, spesso e volentieri, sono nascoste in luoghi apparentemente inaccessibili, se non tramite percorsi del tutto casuali, privi di ogni qualsivoglia indizio visivo; questo ha più volte interrotto il flusso di gameplay, rendendo certe sezioni di gioco molto noiose e frustranti.
Ho trovato anche il boss finale molto confusionario, poco in linea con lo standard qualitativo dei precedenti livelli.

Comunque sia, se siete amanti degli sparatutto - ma tutto tutto -, non potete lasciarvi scappare questa perla.

Carina visual novel horror.
Viene trattato un tema sociale particolarmente delicato in maniera particolarmente interessante, ma la scarsa longevità e la quasi totale mancanza di interazione da parte del "lettore", rende questo gioco dal titolo improbabile meno incisivo di quello che sarebbe potuto essere nel mercato indie.

Però apprezzo molto il coraggio di sperimentare da parte dell'autore. Gioco consigliato a tutti.

Non serve che stia qui a parlare di questo gioco.
I lati positivi di quello che, senza alcun dubbio, sarà il GOTY 2023 sono troppi per essere elencati tutti.

Tears Of The Kingdom rappresenta meglio di chiunque altro il concetto di Open Wolrd, dimostrandosi capace di eccellere in ogni aspetto del genere. Già lo aveva fatto con il suo prequel, ma TOTK crea uno standard qualitativo elevatissimo di cui tutti i futuri sviluppatori di titoli dal mondo aperto dovranno tener conto, per evitare di creare prodotti nati vecchi e privi di fascino.

Quindi quest'ultima iterazione di Zelda è perfetta?
Purtroppo no, nemmeno un giocone come questo riesce, dal mio punto di vista, a guadagnarsi l'ambito 10/10.
Molti dissentiranno, dunque elencherò due grandi motivi per cui questo gioco sarebbe potuto essere decisamente migliore di quello che è stato.

Il primo motivo è "oggettivo".
Lasciando stare il comparto grafico, che per un gioco "old old gen", sebbene abbia texture arretrate e siano visibili pop-up a schermo, è MIRACOLOSO, il problema più grande del gioco si va ad individuare, come per il predecessore, nella trama. Non stiamo giocando ad un Metal Gear Solid, ok, ma Zelda ci ha abituati in passato a storie intriganti, misteriose, dai risvolti talvolta horror talvolta epici...
Nulla di tutto questo compare in TOTK.
Parliamoci chiaro, la storia è banale e lineare e quei pochi passaggi un po' più coraggiosi sono relegati a ricordi del passato con cui non possiamo in alcun modo interagire, ma solamente visionare tramite filmato. I personaggi, tranne poche eccezioni, risultano scialbi, privi di una qualsivoglia profondità psicologica. Le loro storie, così come la storia in generale del gioco, non lasciano al giocatore alcun messaggio degno di nota, se non "Il male fa schifo, toglilo di mezzo. Se hai degli amici il tuo compito è più veloce."
Ripeto, so bene che TOTK è un gioco per tutte le età, quindi deve essere appetibile pure per un bambino di 5 anni, però non si è fatto un reale sforzo per creare qualcosa di interessante (a livello di trama) anche per il videogiocatore più grandicello.
Grande peccato, perché dalle premesse sembrava si fosse tornati ad un Twilight Princess o ad un Majora's Mask, o anche ad uno Skyward Sword. Occasione persa.
Ah, poi ho trovato di pessimo gusto il riciclo di boss, anche di quelli principali. Si è criticato molto Elden Ring per questo, ora tocca a Zelda.

Il secondo motivo è più "personale".
Già con BOTW ne avevo il sentore, ma ora ne ho la certezza. Nintendo vuole rebootare la saga, rivoltarla da cima a fondo dandole nuova linfa vitale. Link, Zelda, Ganondorf e la Master Sword rimangono, il resto cambia. Niente triforza, niente dungeon classici, niente oggetti chiave da sbloccare con l'avanzare della storia, niente struttura "epica", niente abiti verdi dell'eroe (se non quelli collezionabili). Addirittura hanno scelto di aggiungere una nuova razza, gli Zonau, mai menzionata prima, nemmeno in capitoli importanti a livello di lore come Skyward Sword, che qui viene presentata come fondamentale per la storia di Hyrule (i discendenti della famiglia reale sono nati da un'unione tra essere umano e capra? Okaaay Nintendo...).
So bene che questo non è un vero difetto, ma dentro di me non riesco ad accettare questo cambiamento, ancora non sono pronto ad abbandonare una delle mie saghe preferite, con cui sono nato e cresciuto e il taglio così netto che Nintendo ha fatto con il passato mi ha segnato particolarmente.

Tirando le somme, The legend of Zelda: Tears of the Kingdom è da giocare?
Assolutamente sì, sia per i neofiti che per gli appassionati di lunga data. Il cambiamento è doloroso, ma necessario, se si vuole stare al passo coi tempi in ambito videoludico.
Ora e sempre, lunga vita alla saga di Zelda!