Poteva essere molto peggio di quello che è stato, ma anche molto meglio.
Sicuramente i movimenti del protagonista e le hitbox dei nemici, rispetto al suo predecessore, sono migliorati, ma la struttura "open world" snatura un po' il gioco.
I pochissimi boss presenti rendono questo gioco un po' noioso sul lato puramente ludico. Però le ost sono davvero carine.

Dato che la trama di questo gioco è irrilevante, se siete indecisi, saltate pure questo capitolo di Castlevania. Non se ne sentirà la mancanza, a fronte dei numerosi altri giochi del brand molto più interessanti.

2018

Gris è un prezioso vaso di porcellana: meraviglioso all'esterno, levigato e fresco al tatto, ma terribilmente fragile e vuoto dentro.

Il gameplay, nonostante le ottime premesse iniziali, risulta insipido e lineare, senza contare il fatto che sia impossibile morire e gli "enigmi" siano un insulto alla nostra intelligenza.
Come suggerisce pure l'autore, una grande fonte di ispirazione per quest'opera è stato il suggestivo "Journey", dal quale Gris replica le - ben riuscite - atmosfere, accantonando però la parte più divertente, ossia quella strettamente ludica.

Fortunatamente, tutto il resto dell'opera è di altissimo livello, dalla storia profonda, anche se non così innovativa, alla colonna sonora, a tratti delicatissima a tratti dura e coinvolgente, fino ad arrivare ad un art design eccezionale, degno di un'esposizione in una galleria d'arte; se si potesse avere una visione completa della mappa di gioco la si potrebbe scambiare per un dipinto vero e proprio.

Gioco non per tutti, ma consigliato particolarmente a chi vuole vivere un'esperienza diversa dal solito, scevra da ogni forma di quella fretta o pressione a cui siamo abituati nella vita di tutti i giorni.

Ho solo delle belle parole per descrivere il nuovo titolo diretto da Luke Pope, già autore di "Papers, please".
Per distacco, RotOD rappresenta, ad oggi, il miglior gioco investigativo presente sul mercato.

In parole povere, lo scopo di questo titolo è quello di individuare tutti i 60 passeggeri scomparsi della Obra Dinn e, esaminando i ricordi dell'ultimo istante di vita di ciascuno di essi, capire chi fossero e quale sia stata nello specifico la loro sorte.

Una volta superata una prima fase un po' guidata, al giocatore viene data totale libertà d'azione nello scoprire le sorti di ogni malcapitato passeggero della Obra Dinn: disseminati per la mappa, grazie ad un intelligente level design, sono presenti un sacco di indizi che, tramite processo deduttivo, portano alla comprensione della verità, simulando in maniera soddisfacente il lavoro di un detective sulla scena del crimine. Le possibili cause di morte sono molteplici e le identità da assegnare a ciascun cadavere sono numerose, ciò significa che le probabilità di azzeccare le risposte "sparando a caso" sono minime e il giocatore è spinto ad usare tutta la logica in suo possesso per poter avanzare nel gioco.
Se ad un primo sguardo graficamente il gioco può sembrare sgradevole e indietro coi tempi, pian piano ci si rende conto della reale bellezza nascosta dietro allo stile artistico retrò che si rifà ai vecchi sistemi macintosh, grazie alla maniacalità con cui sono stati rappresentati i dettagli e al sistema di ombreggiatura e riflesso capace di generare scene mozzafiato.
Da non sottovalutare inoltre il sound design, che in assenza di vere e proprie cutscene animate aveva il compito di immergere il giocatore in ogni ricordo, dandogli punti di riferimento e facendogli capire cosa stesse realmente succedendo. Il doppiaggio è perfetto, la "ciurma" brulica di gente proveniente da ogni parte del mondo con un sacco di idiomi e dialetti differenti. Poi la colonna sonora è incredibile: semplice ma memorabile, con tracce sia di stampo piratesco/marinaresco che cupo e tensivo.

Avrebbe potuto ambire alla perfezione questo gioco, se non fosse per alcuni aspetti che mi hanno un po' infastidito.
Una volta sbloccati tutti i ricordi, spostarsi da uno all'altro per perseguire la propria pista deduttiva non sarà molto comodo, in quanto bisognerà fare passaggi a mio avviso eccessivi e un po' macchinosi.
Un altro problema, che forse ho riscontrato solo io, è che in alcuni casi, a causa dello stile grafico retrò e per sua natura non dettagliato, non è ben chiara la natura della morte della vittima, costringendoti a provare a turno tutte le varie opzioni disponibili, facendoti perdere molto tempo.
La trama nel complesso è sì interessante, ma aveva le potenzialità, sprecate, per essere qualcosa di più "Bloodborniano". La mancanza di veri e propri colpi di scena o di temi più profondi mi hanno un po' deluso.

Tirando le somme, Return of the Obra Dinn è il perfetto esempio di come non sia necessario avere un budget illimitato da AAA e un numero infinito di dipendenti, ma a volte basta una mente geniale e poco altro per creare un'esperienza unica e accessibile a tutti, che non ha paura di sperimentare e sorprendere.
E ora attendo con ansia il prossimo lavoro di Lucas Pope, che già dalle prime immagini sembra l'ennesima esperienza unica, da provare assolutamente.

Terza tappa dell' "Old Kojima's Tour": Policenauts.
Ad oggi questo è stato il gioco più difficile da reperire e da giocare, in quanto non è mai stato localizzato in altre lingue al di fuori del giapponese, che non conosco.
Fortunatamente, sono riuscito a trovare online una traduzione fan made dei dialoghi testuali, quindi posso dire di essere riuscito a comprendere interamente la contorta avventura noir sci-fi.

Inizio dicendo che, come Snatcher, Policenauts è un titolo peculiare, in quanto mescola un importante blocco visual novel a delle sezioni, anche piuttosto concitate, fps arcade. L'idea di per sé è accattivante (mi riferisco alla versione PS1), ma la dura realtà mette davanti ad una scomoda verità: mirare con le freccette direzionali è un crimine contro l'umanità. Scomodo e legnoso, il sistema di mira si dimostra essere una non trascurabile infezione in un gioco che avrebbe le potenzialità per valere di più. Le parti shooting falliscono nel loro intento di alleggerire la prolissa narrazione di questo "anime interattivo", diventando solamente un ostacolo da superare con sofferenza. (A causa di ciò, sono stato obbligato a rinunciare a battere il record di Maryl al tiro al bersaglio. Peccato...)
Anche le parti "punta e clicca" non sono da meno, sebbene per motivi diversi. Talvolta per poter procedere con la storia, eseguendo azioni o prendendo decisioni che per noi giocatori paiono ovvie, dovremmo ispezionare tutti i possibili oggetti di scena, pure quelli più inutili, ed esaurire ogni possibile dialogo di ogni npc, frenando così non solo il ritmo narrativo, ma anche la voglia di continuare a giocare.
Altro piccolo appunto, che forse è solamente una mia percezione erronea: non ho trovato molto convincenti le animazioni delle cutscene, sembravano molto cheap.

Quindi Policenauts è un disastro? No, l'ho trovato un bel gioco. La storia, sebbene il finale sembri una parodia di se stesso, è davvero affascinante, con delle trovate geniali e diversi colpi di scena (un po' prevedibili). Il cast è colmo di personaggi memorabili, diversi dei quali verranno riproposti nei futuri Metal Gear, a cui ti affezioni e ti dispiace vederli soffrire.
E poi non dimentichiamoci che il titolo è quasi interamente doppiato, oltretutto in maniera eccelsa, e contiene una buona colonna sonora.

In conclusione, posso dire che Policenauts non è un gioco da buttare, ma sicuramente tra le opere del Maestro Kojima è una delle meno riuscite.

See you space policenauts!

Gioco assolutamente neutro, che non sa nè di carne nè di pesce.
Ammetto la mia colpevolezza: l'unico motivo per cui sono stato indotto a recuperare questo horror vecchio stampo è da individuare nella bellissima protagonista, unica vera nota eccellente di questo titolo.

Scherzi a parte, Haunting Ground è un prodotto creato (principalmente) per il pubblico maschile, che fa del fanservice la sua arma più forte e questo non è sbagliato, di per sè, ma quando rappresenta l'UNICA nota di valore di un'opera videoludica è un problema, perché ciò denota una profonda pigrizia creativa e leggero sessismo di fondo.
La bella Fiona Belli, la sventurata protagonista dalle forme notevoli, messe ulteriormente in risalto da abiti attillati e da una fisica "ballonzolante", si troverà a dover fuggire insieme ad un pastore albino di nome "Hewie" da un antico castello italiano, costantemente braccata dagli abitanti del luogo che, per ragioni diverse, bramano di possederla. E basta, la storia è tutta qui, senza risvolti degni di nota.
Gli ambienti, per quanto tecnicamente ben realizzati e a tratti evocativi, sono fini a se stessi, messi insieme senza una vera e propria logica architettonica.
Gli antagonisti che ci daranno la caccia sono insipidi, totalmente incapaci di incutere il minimo timore nel giocatore, risultando a volte pure ridicoli.
L'unica parziale eccezione è "Debilitas", il primo di essi, che nelle prime fasi di gioco ci illude creando situazioni ansiogene, e lasciandoci alte, poi purtroppo disattese, aspettative su quello che sarebbe stata la parte orrorifica.

Haunting Ground prende spunto da diversi survival horror più famosi sulla scena come i Silent Hill, Clock Tower (di cui originariamente doveva esserne un capitolo main line) e Rule of Rose.
Di quest'ultimo, in particolare, viene ripresa ed estesa la meccanica del "companion canino"; per poter uscire indenne dallo spaventoso "Castel Belli", Fiona avrà a disposizione Hewie, un povero cagnolino maltrattato dai precedenti padroni che noi salveremo e dovremo letteralmente addomesticare, lodandolo quando esegue correttamente i nostri ordini e rimproverarlo in caso contrario. Insieme, Fiona e Hewie dovranno risolvere diversi enigmi e sbarazzarsi di chiunque cerchi di far del male ad uno dei due. Tutto ciò l'ho trovato piacevole e originale, anche se talvolta gestire il cane che fa di testa sua può risultare frustrante, soprattutto in contesti più frenetici.

Da giocare? Non si tratta di un'esperienza imperdibile, ma se siete curiosi di provare un horror in salsa italiana e non avete grosse pretese, allora perché no? Alla fine si tratta di un videogioco piuttosto breve, rispetto alla media, e dalla difficoltà contenuta. Un ottimo passatempo per un halloween in compagnia.


Dalle vibes di un Dario Argento ancora in forma, Clock Tower si presenta come un dolce tuffo nel passato per gli amanti del genere horror, sia videoludico che filmico.

Insieme a Alone in the Dark e Sweet Home, Clock Tower è considerato uno dei primi Survival Horror della storia, in particolare per quanto riguarda quel filone in cui il protagonista non possiede doti offensive e non può far altro che fuggire dinanzi ai pericoli, in questo caso rappresentati principalmente da Bobby, un omuncolo che ci inseguirà con un paio di enormi cesoie.
Quello che potrebbe all'apparenza sembrare il classico teenage slasher, dunque un'opera dalla narrazione superficiale e secondaria, si rivelerà presto essere un titolo molto più profondo, dalla trama che si svela piano piano e in maniera silenziosa. Certo, esistono dialoghi e i pensieri della protagonista talvolta didascalici, ma non spesso saranno chiari circa gli eventi che andremo a vivere in questa disavventura: toccherà al giocatore mettere insieme tutti gli "indizi" ottenuti dall'esplorazione e dall'esaminazione di alcuni elementi dello scenario per ottenere un quadro più completo della situazione, similmente a quanto avviene in un più moderno soulslike.
La cosa che mi ha sorpreso maggiormente, pensando al fatto che si tratti di un gioco del 1995, è la quantità di eventi, scoperte e imprevisti che possono randomicamente capitare di partita in partita, come apparizioni improvvise dell'inseguitore, scoperte di cadaveri e attacchi da parte di esseri apparentemente innocui, ognuno con un'animazione unica e soluzioni differenti per poter sopravvivere. Questo non solo dà valore all'esperienza originale, ma aumenta, anche grazie alla presenza di numerosi finali da scovare, in modo intelligente la rigiocabilità di un gioco che, di per sé, è abbastanza breve.
Inoltre, grazie anche ai movimenti abbastanza fluidi e ad un sistema di checkpoint funzionale, Clock Tower riesce ad invecchiare relativamente bene, rendendosi appetibile anche per i giocatori attuali.

L'unica nota veramente negativa, almeno per quanto riguarda la versione SNES, è la questione "punta e clicca": questo genere, su console, non deve esistere, non è pensato per essere giocato senza mouse; nonostante (in questo caso) non sia troppo scomodo, il dover muovere il cursore obbligatoriamente con le freccette direzionali peggiora l'esperienza di gioco, appesantendola più del dovuto.
Altro piccolo problemino riscontrato nel corso del gioco sono le animazioni un pochino lente che interrompono spesso il flusso di gameplay, soprattutto quando si deve interagire con un oggetto in stanza o oltrepassare una porta distante.

Se riuscite a sopportare il fatto di giocare un P&C su console, recuperatevi assolutamente Clock Tower, ne varrà la pena!

Ennesima delusione. Dopo un sufficiente Alone in the dark 2, mi aspettavo di trovarmi davanti un gioco che imparasse dai propri errori per migliorare e tornare ai fasti del primo capitolo... e invece no, è riuscito a peggiorare ulteriormente.

Sono tante le cose che non funzionano in questo gioco, primi su tutti gli enigmi senza logica, alcuni dei quali potevano essere risolti solo stando in precisissime posizioni, inimmaginabili senza una guida.
La storia è di una tale banalità e prevedibilità che, in confronto, Doom pare un The Last of Us e persino alcuni testi sembrano riciclati dai giochi precedenti.
Poi il doppiaggio è qualcosa di allucinante, sia in lingua originale che, soprattutto, in italiano... ma quantomeno ha il pregio di regalare al giocatore momenti unici di fragorosa ilarità.

Alone in the dark 3 avrebbe anche dei lati positivi, come la possibilità di giocare una sezione di gameplay con un "personaggio" inusuale; inoltre, rispetto ai predecessori, vengono adeguatamente bilanciate le fasi action. Però è troppo poco per un sequel, non vengono apportati veri upgrade.

Esperienza che non consiglio a nessuno, mi spiace.

Gioco del tutto fuori di testa, che nel suo ambire ad essere un unicum nel panorama videoludico esagera a tal punto da diventare, in certe situazioni, solamente confusionario e pacchiano.

Mi spiego meglio.
No More Heroes mette subito le cose in chiaro e fa capire sin dai primi minuti di gioco il mood parodistico e action che ci accompagnerà per l'intera avventura. Da un lato ciò risulta interessante, perché ci permette di vivere una storia da un punto di vista che poco si prende sul serio, differentemente dal resto delle produzioni videoludiche o anime del tempo, e lo fa immergendoci in sezioni di gioco frenetiche.
I personaggi che ci vengono presentati, e che andremo ad affrontare, sono tutti sopra le righe, ognuno dal carattere differente e da uno stile di combattimento unico e soddisfacente - al netto di poche eccezioni - che rendono la storia viva e accattivante; il motivo principale che mi teneva incollato al gioco era appunto il desiderio di conoscere il prossimo nemico o npc e carpirne i segreti.
Tutti questi personaggi, inoltre, sono sapientemente collegati da una trama di base accattivante (anche se poi verso la fine perde di attrattiva), sebbene non così innovativa.

Dove sta dunque il problema?
Il problema è proprio nel mezzo. Può capitare talvolta che la narrazione prenda pieghe più serie, ma in una storia di stampo parodistico queste risultano vuote di significato, delle vere perdite di tempo. Oppure può succedere l'opposto, cioè che si verifichino scene talmente assurde e ripetute da lasciare lo spettatore indifferente. Un esempio è il finale, che è talmente nonsense da essere stucchevole e banale. La narrativa fuori dagli schemi deve essere dosata con saggezza per avere effetto... in questa mancanza risiede, a mio avviso, il più grande difetto di NMH.

Per quanto riguarda il gameplay si tratta di un hack and slash piuttosto semplice nelle meccaniche, che sa però divertire e, una volta padroneggiata ogni tecnica, dà luogo a combattimenti spettacolari. Come accennato in precedenza, le bossfight sono il cuore pulsante di questo gioco, nonché gli aspetti meglio riusciti: ognuna è unica nel suo genere, affrontabile sempre in modo differente di boss in boss e incredibilmente divertente da portare a termine, con qualche dovuta eccezione un po' più pigra.

Anche qui però c'è un problema.
Tra una bossfight e l'altra sarà necessario guadagnare una grossa quantità di denaro tramite missioni secondarie ripetitive e noiose, da svolgere in gran quantità e con una grande lentezza; si può accettare infatti una sola missione alla volta e bisogna raggiungerla guidando, anche se lontana, così come sempre guidando bisogna tornare al luogo in cui poter accettare altre missioni. E' un continuo avanti e indietro poco piacevole che interrompe drasticamente il ritmo di gioco. Volendo si potrebbero anche fare altre attività, come comprare abiti, potenziare le armi o fare palestra per aumentare un pochino i parametri, ma il giocatore non è mai realmente spinto a far queste cose, che rimangono assolutamente secondarie.

Ultimo, ma non per importanza, problema che affligge quantomeno la versione PC, è quello dell'audio. Il volume degli effetti sonori, quali le urla dei poveri sgherri che uccideremo, è di default esageratamente alto e pure se tali impostazioni dovessero essere cambiate, periodicamente torneranno alle impostazioni di default, senza alcuna ragione logica, rompendo ogni volta i timpani del giocatore.
Peccato, perchè per il resto il comparto sonoro non è malvagio: il doppiaggio è di qualità e alcune ost sono molto carine.

Nonostante i numerosi problemi, No More Heroes è un gioco che mi ha saputo intrattenere e incuriosire abbastanza da farmi procedere spedito verso il sequel.
Chissà quali altri personaggi fuori di testa stanno aspettando di venire affettati dalla mia spada laser. Non vedo l'ora di incontrarli!

P.S. Shinobu waifu assoluta.

Alti e bassi, costantemente alti e bassi.

La trama? Insufficiente e incoerente.
La colonna sonora? Energizzante, varia e riascoltabile.

La grafica? A livello tecnico si nota un netto miglioramento rispetto al suo predecessore, con modelli meglio delineati, più puliti e degli ambienti ricchi ed eleganti.
I personaggi? Quasi tutti piatti, privi di quell'eccentricità che ha contraddistinto il lavoro di Suda51.

Il voto finale è il risultato della media tra eccellenze e disgrazie, perfettamente bilanciate.
Raramente mi è capitato di giocare ad un titolo gestito in questa maniera e devo dire che è stata un'esperienza istruttiva.

Non voglio aggiungere altro, perché bisogna provarlo pad alla mano un gioco del genere per capire di cosa sto parlando.

P.S. Il boss finale è uno dei più brutti e mal pensati della storia dei videogiochi. Il finale è sbrigativo e insensato. Mi sa che il team di sviluppo dal 4 classificato in poi abbia lavorato senza stipendio.

A Hat in Time è un platform adorabile, divertente nelle meccaniche e con idee brillanti. Viene molto difficile pensare che si tratti di un indie finanziato tramite Kickstarter.

Così come i giochi a cui si ispira, la trama di AHIT non brilla particolarmente, nonostante le premesse intriganti, ma si lascia godere grazie alla sua ironia e ai toni parodistici.

L'art design è coloratissimo e ispirato, grazie al quale ogni livello possiede un proprio carattere distintivo, sebbene verso la fine esso sia sempre meno impattante.

Allo stesso modo, il level design si presenta come una delle migliori caratteristiche di questo titolo, che possiede il merito di rendere ogni livello divertentissimo da giocare e ogni mondo piacevolissimo da esplorare. Il difetto è analogo a quello di prima: il level design, con il passare del tempo, diviene sempre più semplificato e dunque meno soddisfacente.

Ciò che invece non perde mai lo smalto è la caratterizzazione dei personaggi, resi unici e divertenti, a modo loro, senza tralasciare l'aspetto più intimo e, talvolta, drammatico delle loro personalità. Pure la colonna sonora si mantiene su un alto livello qualitativo, sebbene raramente con delle tracce memorabili.

Come menzionato anche prima, i movimenti della protagonista sono fluidissimi e maneggevoli, garantendo così al giocatore un'ampia varietà di approccio alle sezioni platform, grazie anche alla possibilità di utilizzare i cappelli, ognuno con un potere differente, da sbloccare tramite la raccolta di materiali.
Io ho giocato la versione PS4, quindi ho sofferto parecchio il calo di frame nelle ambientazioni aperte o nei livelli con molti personaggi/effetti a schermo. Davvero un peccato.
Inoltre, nelle fasi finali, ho notato diversi glitch grafici piuttosto ingenui, spiegabili (ma non giustificabili) con l'inesperienza del team di sviluppo.
Tra questi problemini e il fatto che, in generale, perde
sempre più brillantezza man mano che ci si avvicina al finale, il gioco non è riuscito a fare il salto di qualità che speravo, quindi non ho potuto dargli più di questo voto.

Questa recensione è riferita al prodotto base, senza i DLC, che magari migliorerebbero anche la valutazione.
Ad ogni modo, se lo trovate in sconto o siete abbonati al PSPlus, non lasciatevi scappare A Hat in Time, fidatevi!

Deluso da ciò che mi aspettavo sarebbe stato il punto forte, sorpreso da ciò che pensavo sarebbe stato meno impattante.

Iniziamo subito tagliando la testa al toro: la trama di Detroit: Become Human è banale, scontata e contestualizzata in un modo obsoleto, nonostante l'ambientazione futuristica. Immaginari di androidi (talvolta robot, talvolta automi, talvolta semplici IA etc) talmente sviluppati da prendere coscienza di sè e bramare la totale integrazione con gli esseri umani sono pluripresenti nel genere cyberpunk e nel filone di opere di fantascienza originate dal film "Blade Runner", quindi la trama perde già in partenza parecchio fascino e non si impegna particolarmente per ribaltare la situazione.
Inoltre, le "scene" - talvolta - eccessivamente lunghe e piene di interazioni superflue, condite da una preoccupante lentezza del personaggio e dall'impossibilità di velocizzare i dialoghi anche in un secondo playthrough, appesantiscono ulteriormente la narrazione e il gameplay, con il rischio di scoraggiare il giocatore a continuare il gioco, specialmente nelle sue prime fasi.

Fortunatamente la vastità di scelte dalle diverse, innumerevoli, conseguenze e il sistema di flowchart con cui poter modificare il passato per cambiare il presente (stile 9H9P9D), aggiunge una notevole personalizzazione all'esperienza di gioco, grazie alla quale il giocatore può creare la SUA storia, basandosi sulle SUE azioni. Interessante anche la possibilità di vedere la percentuale delle scelte compiute dagli altri giocatori.
Certo, il gioco più di una volta ti fa intendere quale sia la scelta migliore da compiere e ti fa sentire in colpa quando non segui il pensiero comune, ma alla fine Detroit è stato pensato per essere appetibile al grande pubblico, quindi non potevano venir meno certi standard.

Il livello tecnico è apprezzabile, con un buon livello di dettaglio e un alto framerate, anche se ogni tanto agli npc capita di buggarsi durante le cutscene, ma nulla di che.

Sono rimasto invece molto colpito dalla colonna sonora, davvero perfetta. Emozionante nei momenti più delicati, intensa in quelli di azione e ansiogena nelle parti più horror. I compositori di tutte queste tracce hanno compiuto un ottimo lavoro ed è principalmente grazie a loro che certe scene hanno guadagnato uno posto nei miei ricordi.

Per concludere, i tre protagonisti di questa storia, a mio avviso meno di quelli che mi sarei aspettato, non sono stati così memorabili come mi sarei aspettato, tranne forse Connor; anzi, credo di aver apprezzato maggiormente i personaggi secondari come Hank, Amanda e Luther.

Gioco sopravvalutato? Sì, abbastanza.
Gioco sconsigliato? No, rimane comunque un buon gioco, leggermente sopra la media per via della suo gameplay caratteristico che farà vivere al giocatore un'esperienza ormai rara nel panorama videoludico moderno.

Ottimo platform, mantiene un buon livello qualitativo costante per tutta la durata del gioco, boss finale a parte.
Personalmente non apprezzo particolarmente l'art design, ma riconosco che il setting di certi livelli sia parecchio apprezzabile anche ai giorni nostri.
Ottima colonna sonora, trama puramente secondaria (forse un po' troppo stupida).

Un'avventura indimenticabile, emozionante e misteriosa, capace di regalare ai videogiocatori di qualsiasi età ore ed ore di puro divertimento ludico e di raffinata stimolazione intellettuale.
Come mi è spesso capitato di ripetere in questo periodo, in un mondo in cui i giochi AAA si stanno sempre più omologando in un unico tipo di esperienza, Outer Wilds, un indie più ricco di idee che di denaro, si impone come un faro di speranza di creatività su un buio oceano di idee riciclate.

Ciò non significa che il gioco sia perfetto, affatto; non avendo un budget infinito, gli sviluppatori non sono riusciti nell'utopico compito di costruire con la stessa cura ogni aspetto del gioco.
Il problema principale è quello più lampante: Outer Wilds è un gioco per Nintendo Switch che gira ovunque (tranne che su Switch), persino su hardware molto più potenti... e ciò si nota parecchio. In parole povere, le texture di questo gioco sono colpevolmente approssimate, non di certo all'altezza delle aspettative; ci sono casi in cui addirittura non caricano nemmeno e ti ritrovi a dover camminare su un foglio monocromatico per qualche decina di secondi. Non mancano neppure modelli imponenti pensati per essere decorati ma completamente grigi di default, come se fosse roba scartata in fase di sviluppo.
Tutto questo è un gran peccato, perché i particellari sono particolarmente realistici e, in generale, l'art design possiede una dirompente carica creativa che non svanisce mai, dal primo all'ultimo secondo di gioco, arrivando al suo picco proprio durante lo sbalorditivo finale.

Perché sì, può non sembrare ma Outer Wilds possiede una trama sfavillante, che non solo attinge dal passato, come per i moderni souls, ma prosegue pure nel presente con estensione nel futuro.
Sebbene il contesto sia raramente proposto da autori dei diversi media, in quanto molto complesso da gestire senza commettere errori, la trama di questo titolo non è propriamente innovativa, ma il modo in cui i personaggi, che purtroppo non subiscono una vera e propria evoluzione caratteriale, affrontano gli eventi e il rigore scientifico (reale) con cui questi vengono giustificati rende la narrazione piacevole e fruibile da qualsiasi tipo di persona, anche ai non appassionati di videogiochi, ma di libri, film, manga e così via.

Del gameplay c'è poco da dire. Tranne per qualche piccola forzatura che rende certi momenti di gioco un po' frustranti ed un inizio molto lento, si parla di un'esperienza perfetta per un adventure con elementi da puzzle game.
Parti con la mente vuota, ma ogni viaggio ti insegnerà qualcosa di nuovo e sarai TU, giocatore, a decidere il percorso da intraprendere. Con i tuoi ritmi, con le tue scoperte, con le tue deduzioni, arriverai fino al limite imposto dalla natura. Riuscirai a superarlo?

Da non sottovalutare il curatissimo comparto sonoro, fondamentale per orientarsi e proseguire al meglio nel proprio viaggio.
Inoltre pur non contenendo chissà quali tracce musicali, le OST principali rimarranno impresse a lungo nella mente, destinate a diventare un dolce ricordo del passato.

Ultima cosa.
Potrebbe sembrare un dettaglio insignificante, ma i trofei/gli achievement di Outer Wilds sono deliziosi; non sono fini a se stessi, come collezionare x oggetti, uccidere y nemici o ripetere z volte un'azione, tutte ripetizioni che generalmente non influiscono sull'esperienza, ma approfondiscono intelligentemente i segreti e i dettagli nascosti dell'universo in cui siamo immersi, aiutandoci a comprenderlo meglio e ad approcciarlo in maniera più o meno differente.

Gioco consigliato a tutti. So che l'inizio può sembrare lento e noioso, ma se insisterete scoprirete di avere tra le mani una mappa del tesoro che, se seguita a dovere, vi premierà con tanta ricchezza spirituale e intellettuale.

Buon viaggio, sassolini! E non dimenticate i marshmallow!

Giocato, rigiocato, platinato e riplatinato da piccolo, lo riesumo dopo tanti, forse troppi, anni per riplatinarlo nuovamente.
Anche dopo tutto questo tempo, rimane splendido. Giocatelo.

Migliorato dal punto di vista delle armi, ma a causa di questo è diventato molto più action del predecessore.
Rimane comunque stupendo (anche se la trama è più un incubo febbrile che altro).