Trama vuota e scontata, personaggi stereotipati, avanzamento di gioco lento e senza mai nessuna variazione in quanto ogni livello (quattro in tutto) segue lo stesso identico schema, musiche identiche, fuori contesto e ripetute allo stremo, obbligandoti ad un certo punto ad azzerare il volume di gioco...

Eppure Murder by Numbers ha anche dei difetti!

Scherzi a parte, questo è un gioco molto semplice senza alcuna pretesa, nonostante avesse le potenzialità per essere qualcosa di più. Dovrebbe essere un poliziesco, ma, tranne forse in un caso, la risoluzione del crimine è ovvia anche per un bambino di 10 anni. La backstory della protagonista, che inizialmente sembrava celare verità sconvolgenti, si rivela così piatta che la protagonista stessa se ne dimentica nel corso dell'avventura. Eppure il personaggio di Honor è stato ben realizzato, sia a livello di design che di scrittura. Nonostante quest'ultima spicchi più degli altri, a fine gioco arriverai ad affezionarti ad ogni personaggio incontrato nella storia, a tal punto da dispiacerti nel dover dire loro addio e da sperare in un sequel.

Il cuore pulsante di questo gioco, ossia l'unico motivo per cui una persona decida di giocarci, è il nonogram, che è stato implementato in maniera accettabile, in un crescendo di difficoltà costante. Nulla di che da dire, è un semplice "picross", nè più nè meno. Forse si poteva aggiungere un tasto per cancellare le ultime mosse eseguite, giusto per evitare che un misclick non rischi di compromettere gran parte del lavoro svolto fino a quel momento.

L'art design, purtroppo, non si dimostra particolarmente ispirato, ma riesce comunque a cavarsela, dando una giusta dignità ad ogni personaggio e ambiente.
Però la intro è bellissima. Cringe, ma bellissima.

Se siete amanti del nonogram, e avete riscattato Murder By Numbers gratuitamente dall'Epic Games Store, questo gioco potrebbe fare per voi, come passatempo nei momenti morti. Altrimenti non compratelo, non ne vale la pena.

1993

Myst è un cimelio storico, non solo per il suo impatto sul mercato videoludico, essendo divenuto uno dei primi "best-seller" per PC con 10 milioni di copie vendute, ma anche per la sua influenza creativa senza confini, riuscendo a toccare anche il mondo della televisione per quanto riguarda la serie "Lost".
Molti aspetti dell'immaginario fantasy o esplorativo odierno derivano da questo gioco e tanto basta per sentire la necessità di provarlo almeno una volta nella propria vita.

La fantasia, l'immaginazione, il potere della creatività da difendere a tutti i costi dal pensiero forzato e manipolatorio, questi sono i temi cruciali, oggi più che mai attuali, affrontati in questa affascinante avventura nella misteriosa isola di Myst, in cui le parole scritte diventano realtà e l'inchiostro diventa sangue.
Inizialmente può sembrare complesso e di difficile comprensione, ma in seguito ad un'esplorazione più approfondita, dopo essersi presi il dovuto tempo per riflettere, tutto diverrà più chiaro e la progressione più lineare... e questo purtroppo rappresenta un problema per gli appassionati del genere, che non troveranno il proverbiale "pane per i loro denti" proprio quando la storia giungerà al suo climax. Interessante e comoda, tuttavia, la funzione "zip", che permette al giocatore di teletrasportarsi in zone di interesse già visitate in precedenza, a patto che esse siano visibili dal punto in cui ci si trova.

Nel gioco sono presenti pochi dialoghi, tutti doppiati e recitati da attori reali in maniera ottimale, sia in lingua originale che in italiano. Il design dei suoni è convincente e ben strutturato, ma la colonna sonora originale stona un po' con le atmosfere fiabesche dell'opera, risultando talvolta confusionaria talvolta fastidiosa e fuori luogo. Fortunatamente può essere disabilitata in qualsiasi momento.

Esteticamente, inoltre, riesce tutt'oggi a fare la sua bella figura, al netto di qualche animazione un po' "antiquata".

Al di là di tutto, che possa piacere o no, l'esperienza di Myst è unica nel suo genere e, indipendentemente dai gusti personali, non potrà fare a meno di lasciare un ricordo indelebile nella mente dei giocatori.
Perciò giocateci, se possibile alla versione originale del 1993 su una macchina virtuale come ScummVM (ovviamente solo dopo aver acquistato il CD originale).


Uno spreco. A livello artistico è un titolo gradevole, le ambientazioni sono deliziose, con texture che sembrano disegnate a mano, perfettamente rifinite, e una colonna sonora parecchio divertente da ascoltare, che varia tra molti generi, dall'ambientale al funk, fino ad arrivare al jazz, al flamenco e altro ancora.

Poi, purtroppo, il gioco fallisce in quello che era stato, in passato, il punto forte di questo brand: il gameplay. Come platform si rifà alle prime iterazioni di Sonic, basandosi dunque sulla velocità del protagonista e sulla spettacolarizzazione dei percorsi dinamici... gestendoli tuttavia in maniera pessima. I salti ingestibili e la lunghezza eccessiva dei livelli sono solo alcune delle pecche che influiscono negativamente nell'esperienza platforming di Origins. Se ciò non bastasse, in endgame il gioco ti obbliga a tornare sui tuoi passi e rincominciare tutti i livelli, perché per completare le ultime missioni, e sbloccare il mondo finale, è necessario salvare un certo numero, anche alto, di lum; questo significa che per continuare nell'avventura è necessario farmare, come se fosse un gioco di ruolo. In un platform puro questa meccanica ammazza tutto il divertimento, in quanto interrompe il flusso, che dovrebbe essere fluido, di gameplay... è come se, in Super Mario, per poter affrontare il castello di fine mondo bisognasse prima completare tutti i livelli al 100%. Non è accettabile.

Oltre a questo, Rayman Origins possiede altri due lati piuttosto negativi. Prima di tutto la trama, piuttosto pigra e infantile (in senso negativo), anche per gli standard del brand. E poi i personaggi, gestiti in maniera ridicola e piuttosto sessista; mentre tutti quelli maschili possiedono un design unico e caratteristico, quelli femminili sono identici, tutti prosperosi e svestiti, con l'unica utilità di ancheggiare e mettersi in pose provocanti dinanzi a Rayman.
Personalmente non sono uno che si scandalizza facilmente per queste cose, essendo dell'idea che la visione autoriale viene prima di ogni "taboo"... ma solo se questo ha un senso e porta ad una riflessione di qualsiasi tipo. Cosa non presente in questo titolo.

La sufficienza rappresenta il voto ideale per Rayman Origins, frutto della media tra gli aspetti deludenti e l'eccellente comparto artistico.
A meno che non siate fan storici della saga o lo abbiate riscattato gratuitamente quando Ubisoft ne diede la possibilità anni fa, saltatelo e fate altro, o magari passate direttamente a Legends.

Il tempo è lo strumento più efficace che l'uomo possiede; se gestito male, con l'indolenza di chi non conosce pazienza, rischia di essere deleterio e può portare a conseguenze nefaste... ma se usato con saggezza, da esso possono nascere creazioni che, così come le querce secolari, grazie alla loro solidità non verranno mai dimenticate.
Stesso discorso può essere fatto per Chrono Trigger, solidissimo JRPG che trascende le "epoche videoludiche" e si pone, tutt'oggi, come un gioco pienamente fruibile per qualsiasi tipo di videogiocatore. Ciò non significa che Chrono Trigger sia perfetto, specie se lo si giudica con uno sguardo contemporaneo, ma senza dubbio possiede delle meccaniche tanto pulite e fluide, pur con qualche sbavatura incomprensibile, da riuscire ad intrattenere pure il pubblico moderno più esigente.

A livello storico, questo titolo rappresenta, parallelamente al suo cuginetto "Final Fantasy VI", una pietra miliare non solo dei JRPG, ma dell'intero medium videoludico. Raramente nella storia dei videogiochi sono state riunite così tante menti brillanti (il famoso "Dream Team") per lo sviluppo di una singola opera; a partire da Akira Toriyama, che ha curato la realizzazione delle cutscene animate e il character design, fino ad arrivare a mostri sacri come Hironobu Sakaguchi (creatore della saga dei FF), Yuji Horii (Dragon Quest) e Nobuo Uematsu (spero non abbia bisogno di presentazioni), che ha ultimato la colonna sonora in seguito all'abbandono per malattia del compositore originale, Yasunori Mitsuda.
Non è un caso, vedendo tutti questi artisti riuniti assieme, che Chrono Trigger alla sua uscita sia stato acclamato da critica e pubblico, venendo non di rado etichettato come "uno dei migliori videogiochi della storia".

Seppure non condivida questa forte presa di posizione, posso quantomeno comprenderla. Il gioco infatti fu rivoluzionario sotto diversi aspetti, come la presenza di finali multipli (ben 13!) basati sulle scelte compiute durante la campagna principale, oppure come quello tecnico, in quanto la grafica di CT presentava un livello di dettaglio assurdo per l'epoca, con un sacco di animazioni differenti per ogni situazione e per ogni tipo di attacco; sorprendeva inoltre la qualità delle quest secondarie, sia nella scrittura che nell'effettivo gameplay, talvolta pure leggermente creepy.
Nel 1995 era molto difficile trovare giochi con una tale profondità ludica e artistica e quindi, assieme a FF6, Chrono Trigger rappresentava una delle soluzioni più ambite dagli appassionati.

Un altro punto di forza di questo gioco è rappresentato dalla trama che, avendo a che fare con i viaggi nel tempo, rischiava di presentare buchi o gravi incoerenze, ma così non è stato. Masato Kato è riuscito a ideare una storia organizzata su più livelli che riesce sempre a tenere alta l'attenzione dello spettatore e a sorprenderlo con alcuni colpi di scena ben piazzati, anche se prevedibili. Gli intrecci tra le varie epoche sono stimolanti e ordinati, poiché tutto ciò che avviene in un'epoca ha delle ripercussioni coerenti e verosimili su quelle future; in questo modo diventa parecchio divertente cercare in tutti i modi di cambiare alcuni aspetti, taluni all'apparenza insignificanti, di un periodo storico cercando di prevederne le conseguenze storiche.

I personaggi, dei quali i protagonisti sono pochi rispetto alla media dei JRPG, sono tutti abbastanza interessanti e dalle numerose personalità che spesso vengono approfondite nelle missioni secondarie, nonostante non siano così profondi e curati come quelli di FF6.

A proposito di missioni secondarie.
Come accennavo prima, ogni missione secondaria è unica a sè e spazia su ogni genere narrativo, dal cavalleresco al drammatico, fino ad arrivare all'horror.
Tutto molto bello, se non fosse per quella maledetta "missione dello Gnu"... Non entro nei particolari, ma vi basti sapere che per concludere la quest bisogna fare su e giù per due monti di due luoghi diversi in continuazione, senza la possibilità di utilizzare viaggi rapidi (o uscite rapide dal dungeon, cosa che persino Pokemon permetteva di fare!) o di skippare l'incontro con gli stessi nemici base che ci attaccheranno minuto dopo minuto, montagna dopo montagna, sempre sperando che si stia seguendo il percorso giusto e che non sia necessario dover ricominciare tutto da capo. Tutto ciò è molto scomodo e lo trovo senza senso, dato che l'intero gioco ha il pregio di possedere una spiccata dinamicità nelle meccaniche di base. Anche nella versione remasterizzata per Steam il problema persiste, perché non sono state aggiunte feature che permettessero la regolarizzazione della velocità delle fight (durante il combattimento stesso) più inutili, oppure la possibilità di tornare, magari tramite uno strumento, all'inizio di un dungeon per evitare i numerosi e fastidiosi backtracking.

Per quanto riguarda il sistema di combattimento stesso, mi è piaciuto il fatto che non fosse "statico" come, ad esempio, quello dei Final Fantasy, ma che fosse "dinamico", in cui la posizione dei nemici dopo ogni loro mossa cambiava e, a seconda del tipo di attacco da noi utilizzato, si potevano danneggiare due o più obiettivi limitrofi. Inoltre, a seconda della composizione della squadra "titolare", venivano sbloccate mosse combinate tra due o più personaggi, che causavano danni maggiori o effetti particolari. Da un certo punto di vista, questa rottura della tradizione conferiva a questo titolo una nota leggermente più action, che purtroppo andava scemando sempre di più col tempo, in quanto, una volta imparate spell avanzate, la disposizione dei nemici nel campo di battaglia diventava irrilevante.

A livello musicale si è fatto un buon lavoro, anche se per nulla paragonabile a quello di FF6; infatti, a differenza sua, ben poche ost rimarranno impresse a lungo nella memoria.

Purtroppo, e qui parlo a livello personale, lo stile artistico di Toriyama non mi piace per nulla e ho dovuto dare un voto in meno a causa di quest'ultimo, dato che compare preponderante in tutti i filmati o anche solo nel design dei nemici e dei protagonisti.
Inoltre, stavolta parlo sul piano oggettivo, ho trovato parecchio fastidiose le cutscene, che non sono state doppiate, nemmeno per un piccolo verso, rendendo così la visione poco immersiva. E poi sono inutili, dato che alla fine di qualunque filmato i protagonisti della scena eseguiranno le stesse azioni ripetute in proporzione 1:1 ma con la grafica di gioco. Tanto valeva lasciare solo quelle animazioni e risparmiare così sulla realizzazione dei corti.

Chrono Cross è un titolo che tutti gli appassionati di videogiochi dovrebbero provare almeno una volta nella loro vita ed è pure parecchio accessibile grazie alla sua anima ludica sempre fresca e alla sua difficoltà moderata. Certo, ci vuole tempo per ambientarsi e iniziare a godersi l'esperienza, ma il gioco vale decisamente la candela!

Parto subito col dire che il DLC di Outer Wilds entra di diritto nell'olimpo dei migliori contenuti aggiuntivi mai creati, perché non solo aggiunge una nuova "main quest" interessante e ricca di misteri, ma stravolge, pur mantenendo le stesse meccaniche di base, lo stile di progressione, regalando così al giocatore un diverso tipo di esperienza ludica. In sostanza, se EotE fosse stato venduto come gioco a sè ("Outer Wilds 2", per intenderci) nessuno avrebbe avuto da ridire.

Può sembrare un paradosso, ma ciò che, indubbiamente, rappresenta il fiore all'occhiello di questo DLC, risulta essere anche il motivo per cui quest'esperienza non potrà mai competere con quella del gioco base.
Mentre Outer Wilds propone un sistema di progressione perlopiù rilassato e intrecciato, in cui si è liberi di esplorare i pianeti nell'ordine che si preferisce, Echoes of the Eye possiede un'impronta più lineare e cupa, arrivando talvolta ad assumere la forma di un vero e proprio survival horror in prima persona, ispirato principalmente a giochi come Amnesia o Outlast. Il problema, dunque, non è tanto questa svolta creepy in sè, che in realtà riesce benissimo nel suo obiettivo di spaventare e inquietare, quanto il fatto che si sia persa quella brillante originalità che ha contraddistinto il gioco base in funzione di una ben più tradizionale esperienza horror, talvolta ricalcando in proporzione 1:1 i titoli sopracitati.
Un'altra piccola critica la voglio riservare al loop temporale. Dato che gli ambienti dello Straniero sono pieni di punti di interesse, oppure poco illuminati (la luce in questo DLC svolge un ruolo fondamentale), avrei preferito che il tempo a nostra disposizione fosse dilatato, magari tramite qualche escamotage fornito dalla tecnologia aliena, perché in questo modo risulta parecchio difficile portare a termine in maniera soddisfacente un ciclo temporale esplorativo, rendendo frustrante e ridondante ricominciare ogni volta dalla nostra navetta. Immagino che ciò sia stato pensato come furbo espediente per aumentare la longevità del DLC, ma non ce n'era bisogno dato che è già corposo di suo.

Nonostante tutto, come ho accennato in precedenza, Echoes of the Eye si dimostra essere un capitolo aggiuntivo di enorme pregio, in cui anche elementi all'apparenza poco rilevanti, come il "fuoco" e la luce, qui assumono un'importanza chiave nella risoluzione di enigmi, sempre soddisfacenti da risolvere.
La storia, che si intreccia perfettamente con l'originale, la cui narrazione viene cambiata e rinnovata, ha il pregio di far provare al giocatore una gran varietà di emozioni, dallo stupore alla disperazione, portandolo a riflettere su temi profondi tramite un messaggio di fondo così diretto a noi "spettatori" da risultare quasi una rottura della quarta parete; il tutto, poi, culmina in un finale eccezionale, capace di rivaleggiare con quello ancor più eclatante di Outer Wilds.

Se avete amato Outer Wilds e siete tra i pochi a non aver acquistato la Archeologist Edition, fatevi un regalo e scaricatevi questo incredibile DLC, qualunque sia il prezzo.
Saranno assolutamente soldi ben spesi.

Piacevole hack and slash dei primi anni 2000, che ricorda in molti aspetti il celebre anime (e manga) "Evangelion", di cui però non riesce a raggiungere neanche lontanamente la qualità narrativa.
Graficamente, se paragonato ad altri giochi contemporanei, Z.O.E. risulta parecchio arretrato non tanto nei modelli poligonali di gioco, realizzati anche discretamente bene, quanto piuttosto nei personaggi presenti nelle cutscene, che sembrano provenire da un gioco PS1. Il comparto sonoro è perfettamente bilanciato: mentre il doppiaggio (in inglese) è inascoltabile, la colonna sonora si dimostra essere di ottima qualità.

Lo ammetto, da non amante del genere l'unico motivo che mi ha spinto a recuperare questo vecchio titolo di Konami è rappresentato dal suo produttore, Hideo Kojima. Inizialmente pensavo che l'autore fosse coinvolto maggiormente nel progetto, ma in realtà si è dedicato solamente alla creazione dell'intro di gioco, nonostante molte persone continuino ad attribuirgli più meriti del necessario.

Zone of the Enders è un videogioco piuttosto breve, ma nonostante tutti i difetti devo dire che mi ha divertito; si è rivelato il modo ideale per staccare la spina dalla routine e ammazzare i momenti morti con qualcosa di diverso dal solito.

Child of light, che bella sorpresa!
Titolo poetico, una fiaba pare
in cui una bimba tenta l'impresa
di salvare Lemuria dalle forze del male.

La storia fila sì lineare,
come si addice al suo genere.
Pur la difficoltà non fa vacillare,
ma assai divertente è ridur le bestie in cenere!

Che spettacolo poi le arti!
Musica, grafica e scrittura,
di loro finirai per innamorarti,
e all'addio nel tuo cuor sorgerà una frattura.

Aurora vi aspetta, fatemi contento!
Su, che aspettate, iniziate a giocare
non ve ne pentirete, garantito cento per cento!

Cosa cavolo fumavo da piccolo per giocare a questi giochi?

La Grande Guerra viene spesso messa in secondo piano a fronte di una ben più romanzabile, ma non meno terrificante, Seconda Guerra Mondiale. Valiant Hearts non commette questo errore, portandoci a conoscere da vicino tutti gli orrori di questo ingiustificabile conflitto con un occhio il più possibile neutrale.

Dal punto di vista storico questo gioco è una perla: numerosi saranno i documenti storici che potremmo leggere di battaglia in battaglia, con allegate foto reali di repertorio, così come numerosi saranno i reperti dell'epoca che potremmo raccogliere esplorando, come lettere dal fronte, armature tipiche, piastrine, passatempi artigianali... insomma, troveremo tutto ciò che occorre per poterci immergere totalmente nelle cupe atmosfere del fronte occidentale.

La musica, lo stile artistico e i personaggi sono tutti elementi interessanti e ben strutturati. Il problema però è la carente offerta ludica che VH ci propone.
In teoria dovrebbe essere ispirato alle avventure grafiche 2D di Lucasarts, ma il gioco fallisce clamorosamente nell'aspetto più importante di un prodotto di questo tipo: il divertimento.
Dal primo all'ultimo minuto Valiant Hearts è una noia mortale, che ripete sempre costantemente lo stesso schema, missione dopo missione, cambiando solamente la mappa di gioco e talvolta i protagonisti.

Non c'è molto altro da dire, il gioco è tutto lì.
Vedendo quanto hanno trascurato la parte ludica a fronte di un'eccellente contenuto storico e documentaristico, verrebbe da pensare che forse il videogioco non sia la forma adatta per quest'opera...

A parte la meccanica delle armature, che è una figata assurda e mi fa un sacco strano che non sia mai stata ripresa nei capitoli seguenti, il gioco è una parodia di sè stesso. Comandi buggati, input lag, ost mancanti, personaggi inconsistenti, minigiochi copiati, armi (quasi) tutte ingestibili...
Ultimo gioco della saga con il doppiatore italiano originale di Ratchet, Simone D'Andrea.

Unico titolo della "future saga" degno di nota. La trama è abbastanza incoerente con il passato, ma Insomniac se n'è sempre abbastanza fregata della continuity.
Giocatelo comunque.
(Eruttatore sonico best arma ever)

Sì, è vero, Gladiator è un Ratchet atipico nelle meccaniche, in quanto totalmente action, ma è al tempo stesso pieno di idee brillanti e il più coerente con le atmosfere del capostipite della saga. Da non sottovalutare.
Dopo Gladiator, Ratchet non è stato più lo stesso. Peccato.

Tra i Ratchet è quello con le armi migliori di sempre. In questo capitolo sono state aggiunte un sacco di feature interessanti. Innovativo per la sua modalità online, che tuttavia è anche il motivo per cui il gioco è stato tagliato e semplificato in più parti.
Alla fine però, con grande sorpresa degli sviluppatori stessi, si è rivelato un prodotto di ottima qualità, forse quello più amato della saga. Averceli giochi simili al giorno d'oggi...

Migliorato dal punto di vista delle armi, ma a causa di questo è diventato molto più action del predecessore.
Rimane comunque stupendo (anche se la trama è più un incubo febbrile che altro).

Giocato, rigiocato, platinato e riplatinato da piccolo, lo riesumo dopo tanti, forse troppi, anni per riplatinarlo nuovamente.
Anche dopo tutto questo tempo, rimane splendido. Giocatelo.