Quasi mi sento in colpa a dover dare un voto non eccellente ad un gioco del genere.
Portopia ha fatto la storia, inutile girarci attorno: il secondo gioco pubblicato, dall'allora neonata, Enix detiene il merito di essere il precursore delle visual novel e di tutti i videogiochi con avventure narrative, che rappresentavano un'inedita alternativa ai giochi d'azione: al posto dei riflessi, il videogiocatore doveva ora fare affidamento al proprio pensiero logico e alla capacità di ragionamento.
Non solo, ma il lavoro di Yuji Horii (futuro creatore di Dragon Quest, a sua volta fondatore dei JRPG) fu anche un'importante fonte di ispirazione per aspiranti autori, essendo, insieme a Super Mario Bros di Miyamoto, il videogioco che spinse Hideo Kojima a incanalare il proprio talento creativo nel game design.

Ma storia a parte, il gioco com'è?
Sorprendentemente profondo e articolato per trattarsi di un gioco del 1983. Come ogni visual novel, ma anche avventura grafica dell'epoca, di stampo investigativo, lo scopo è quello di risolvere il grande enigma di un caso di omicidio compiendo una sequenza variabile di azioni standard (Spostati, interroga, prendi, esamina etc) a seconda della zona e del contesto in cui ci si trova. Il fiore all'occhiello che contraddistingue Portopia è la sua libertà d'azione: il giocatore non sarà obbligato a seguire dei binari fissi per poter avanzare nell'indagine, ma potrà gestirla come meglio crede nell'ordine che preferisce, data la possibilità di poter ottenere lo stesso risultato in più modi differenti. Occhio, perché non è scontato questo fattore; molti giochi moderni, per quanto siano più raffinati tecnicamente, non offrono sempre tutta questa libertà d'azione.
D'altro canto, non sempre il dosaggio di questo "libero arbitrio" risulta adeguato, poiché capiterà diverse volte di essere costretti a fare cose totalmente randomiche pur di procedere con la storia principale, senza che vi sia alcun riferimento grafico o dialogo a fungerci da indizio

Altra grave mancanza, poi sistemata in porting futuri, è quella della colonna sonora. Il sonoro è presente, pure con un ruolo talvolta fondamentale per la risoluzione degli enigmi, ma solo il minimo indispensabile. L'assenza di "musiche" rende sì l'esperienza di gioco più simile a quella di un'indagine reale, ma a costo di abbassare l'impatto emotivo di alcuni momenti chiave della trama, come il climax finale.

Se siete amanti dei gialli classici cosiddetti "dalla stanza chiusa", allora questo gioco fa per voi. L'intreccio narrativo sembra uscito direttamente da un libro di Agatha Christie e il colpo di scena finale, ripreso e rielaborato da giochi più recenti, vi lascerà di stucco. I personaggi che ci accompagneranno durante questa (dis)avventura non saranno molti, tuttavia saranno valorizzati dalla loro vibrante personalità e dalle diverse reazioni verso le nostre azioni più "sceme".

Sicuramente Portopia è un gioco difficile da recuperare in lingua, quantomeno, inglese, ma lo sforzo è stato più che sufficientemente ricompensato da un'avventura ispiratrice e ricca di segreti. In caso aveste la pazienza di un santo, o foste dei folli, non esitate un solo secondo a giocare The Portopia Serial Murder Case.

Forse molti non lo sanno, ma Hideo Kojima lavorò per Nintendo in due occasioni: nella prima, in un ruolo più marginale, ha contribuito alla produzione del remake di MGS, ossia "Twin Snakes", esclusiva Gamecube, mentre nella seconda, forte della sua più importante posizione di Game Designer e Story Planner, ha potuto liberare tutto il suo estro e la sua creatività per sviluppare uno dei titoli più interessanti ed unici sviluppati per Gameboy Advance, ossia "Boktai: The Sun is in your hand".

Sviluppato tra MGS2 e MGS3, questo curioso action adventure dallo stile anime risulta essere un incrocio tra lo spirito avventuroso degli Zelda e l'anima stealth/narrativa dei Metal Gear, con una novità fondamentale: il sole. No, non sto usando una metafora, ma sto parlando del vero sole, il nostro sole, la quale luce svolgerà un ruolo chiave nell'esperienza ludica.
Grazie al sensore fotometrico presente sulla cartuccia di gioco, è possibile tramutare i raggi solari venuti in contatto con essa in dati di gioco con i quali poter combattere i nemici che si opporranno alla missione suprema di Django, il ragazzo solare. In sostanza, per ricaricare la nostra "Gun del Sol" e uccidere i nemici, sarà necessario esporre la cartuccia alla luce del giorno; in caso si decidesse, tuttavia, di giocare di notte, bisognerà procedere con un'oculata gestione delle energie e agire di nascosto, là dove possibile. Come accennato prima, infatti, Boktai possiede delle meccaniche stealth ispirate in tutto e per tutto ai Metal Gear; torneranno elementi come i punti esclamativi per indicare la fase di allerta dei nemici e il picchiettare la parete, a cui ci si può appiattire, per attirare i nemici in un determinato punto.
Ad alternarsi alle fasi action saranno presenti anche numerosi enigmi ambientali, di tipologia non molto varia ma di una difficoltà sempre crescente, e altrettante fasi esplorative che portano sempre ad un "premio" soddisfacente.
Sebbene la qualità del level design sia altalenante, non si può non rimanere stupiti dinanzi alla corposa sostanza e al livello di dettaglio presente in ogni mappa, oltre al fatto che il gioco si attesta su una buona longevità e rigiocabilità, pur essendo pensato per una console portatile quale il Gameboy Advance.

La trama di Boktai poggia su delle buone premesse, ma non riesce mai veramente a spiccare il volo, nonostante si noti come in più di un'occasione si sia provato a fornire agli eventi un contesto complesso e intricato "alla Metal Gear", con cui il gioco condivide alcuni elementi narrativi. Purtroppo, per via delle scarse possibilità fornite da una console pensata per la portatilità, non è stato possibile creare vere sequenze narrative in pieno stile Kojima, che avrebbero potuto fornire una dignità maggiore all'avventura di Django.
Di certo la localizzazione italiana non aiuta in questo. Talmente scadente da sembrare l'opera di una IA arretrata. Oltre ai vocaboli tradotti male e ad alcune frasi senza alcun senso logico, certe parole chiave non sono neanche state trasposte in italiano, rendendo involontariamente comici dei dialoghi molto seri. Datemi retta, giocatelo in inglese, farete molta meno fatica a seguire i discorsi.

Boktai è una piccola perla nascosta, nata da un'idea brillante di un autore altrettanto luminoso, il buon Hideo. L'esperienza di gioco è molto piacevole e spinge al completismo totale, ma alcune imperfezioni collaterali non gli permettono di ottenere il voto che, almeno nelle intenzioni, si meriterebbe.
Ultimamente si sente parecchio la mancanza di idee di questo tipo, ma finché continueranno ad esistere autori, giovani o anziani che siano, dalla mente "indie", allora ci sarà speranza di un futuro migliore!
The sun will rise tomorrow!

Uno dei migliori giochi Pokémon di sempre, bandiera di un'epoca, ormai passata, in cui non si aveva paura di sperimentare, inserendo tematiche più adulte e complesse all'interno di un gioco indirizzato anche ai più piccoli. Non si parla, ovviamente, di argomenti troppo violenti o filosofici, perché siamo pur sempre immersi nell'idilliaco mondo dei Pokèmon, anche se certe situazioni sono al limite dell'horror.

Esploratori del Cielo, insieme a Esploratori del Tempo e dell'Oscurità, rappresenta il sequel, ambientato in un luogo ed epoca diversa, di Squadra Rossa e Blu, di cui riprende lo scheletro di strategico/rougelite con scontri a turni, espandendone il gameplay e la trama.
Dal punto di vista della storia non c'è nulla da dire, dato che si prefigura come il perfetto racconto per ragazzi, un'avventura epica di formazione che, tramite gli eventi narrati, insegna al giocatore non solo i classici valori da perseguire, ma anche a superare le difficoltà e le ingiustizie che la stessa vita ti pone davanti, come il tradimento, la scomparsa dei propri cari, il bullismo e, in alcuni casi, la prospettiva della propria morte.
Per quanto riguarda il gameplay, questo titolo ha luci e ombre. Le innovazioni rispetto al prequel sono spesso semplificatrici: a parte certi dungeon di end-game, tutti gli altri sono stati accorciati e più semplici da superare, così come quelli del "dojo", che non offrono più le classiche "bossfight monotipo" di fine livello. L'elemento che più mi è dispiaciuto veder banalizzato, tuttavia, è il reclutamento Pokemon: se nei precedenti titoli, prima di "catturare" un pokemon, dovevi comprare o conquistare la sua area amico (ossia l'habitat naturale che condivideva con altre specie), ognuna dal design unico, ora non si verifica più questo problema, permettendoti di reclutare chiunque in qualsiasi momento da inizio gioco, tranne in rare occasioni per motivi di trama. L'acquisizione di una nuova area amico, la sua esplorazione e il mistero legato all'identità delle creature che potevano effettivamente viverci, rendevano unico questo franchise e ti spingevano a giocarlo fino al suo totale completamento. Peccato.
Di contro, Esploratori del Cielo offre tante novità apprezzabili, oltre ai Pokemon di 4 gen, come gli artwork delle espressioni facciali durante i dialoghi disponibili per tutti e 400 i Pokemon, una miriade di nuovi oggetti, dungeon inediti, tante tipologie di missioni differenti ed episodi spinoff giocabili, aventi come protagonisti i vari personaggi conosciuti durante la storia principale.
Come ho detto, luci ed ombre, ma fortunatamente a prevalere sono le prime.

Artisticamente il gioco è splendido, la pixel art mai come in questo caso ha valorizzato così tanto un titolo Pokemon: le animazioni sono tutte eccellenti e riescono a farti percepire ogni stato d'animo dei personaggi, per quanto siano piccoli, mentre le ambientazioni e i dungeon sono un piacere per gli occhi. Similmente possiamo dire della colonna sonora, magistrale praticamente sempre, perfettamente adatta come accompagnamento musicale durante le tante esplorazioni.

Se non lo avete giocato, giocatelo. Senza se e senza ma.
Quando arriverete alla battaglia finale mi ringrazierete.

Eletto come miglior indie horror del 2022, Signalis è una lettera d'amore ai survival horror di fine anni 90, in primis Resident Evil e Silent Hill, a cui unisce una narrazione non convenzionale tipica di alcuni autori cinematografici come Hideki Anno, David Lynch e Stanley Kubrick al fine di ottenere un prodotto che guarda al passato senza dimenticare il presente.

La prima cosa che si nota iniziando una nuova partita è lo stile grafico del titolo: con i suoi, apparenti, pochi poligoni e una sfocatura misurata dell'immagine, la prima impressione è quella di trovarsi davanti ad un gioco sviluppato per PS1, salvo poi constatare (con sollievo) della fluidità moderna del titolo, tra framerate alto, movimento libero e caricamenti istantanei. In caso, tuttavia, si volesse vivere un'esperienza il più possibile retrò, il ricco menù di opzioni ci permetterà di modificare la visuale e il layout dello schermo a nostro piacimento, oltre che cambiare la tipologia di movimento (da libero a tank) e la difficoltà.
Coerentemente a quanto detto finora, Signalis possiede principalmente due anime: quella più esplorativa, narrativa, atmosferica e legata agli enigmi si rifà a Silent Hill, mentre quella action, di gestione dell'inventario e il sistema di salute rispecchia Resident Evil.
Nel primo caso non ci sono problemi, tutto anzi si sviluppa in maniera perfetta: la splendida atmosfera horror che si viene a creare, senza ricorrere ai pigri espedienti jumpscare, aiuta il giocatore ad immergersi sempre più profondamente in una storia dalle sfumature sci-fi che analizza temi complessi sulla natura umana e sulla sua psiche, che parla di amicizia e amore, sottolineando l'importanza dei ricordi sia di coppia che individuali, senza tralasciare una critica socio-politica ad una società che, nascosta dietro una maschera ordinata e idilliaca, si rivela un incubo da cui doversi risvegliare il prima possibile e ad ogni costo. La narrazione per nulla lineare e adita ad intriganti interpretazioni, sebbene con qualche indizio che la indirizza verso una certa strada, rende l'esperienza più personale e, di conseguenza, un qualcosa a cui il giocatore non può far altro che affezionarsi e imprimere nella propria memoria a lungo. Menzione d'onore infine agli enigmi: belli, stimolanti, che richiedono un gran livello di intuizione, di osservazione e la capacità di interfacciarsi con ogni tipologia di strumento a propria disposizione; un punto di riferimento per il genere.
Per quanto riguarda "l'anima Resident Evil", invece, non tutto è rose e fiori. Il gunplay di Signalis è appena accennato, la mira è automatica e i nemici subiscono lo stesso danno ovunque, con l'unica differenza che la protagonista, a seconda del tempo e la posizione da cui mira, può infliggere danno aumentato o missare il colpo. Per quanto ciò risulti diverso dalle opere a cui si ispira, è ben poca roba, in quanto le potenzialità per creare un sistema action più moderno e con una componente ludica maggiormente apprezzabile erano grandissime. Data la scarsità di munizioni e la minaccia che, pur usandole, i nemici sarebbero potuti tornare in vita, il gioco spinge ad usare un approccio più conservativo e sfuggente, relegando le sparatorie unicamente a momenti di urgente necessità; questo si configura in una deludente assenza di bossfight, eccezione fatta per uno scontro obbligatorio contro un mostro comune, una sfida di resistenza a tempo (stile Pyramid Head) e la bossfight finale, lunga e complessa, ma tutto sommato piacevole. Si poteva fare molto di più.
La gestione dell'inventario è stata molto discussa; durante l'intero gameplay avremo a disposizione solo 6 slot in cui poter trasportare oggetti tra cure, armi, strumenti e oggetti chiave. Sebbene all'inizio non sia un problema, col passare il tempo queste "sei tasche" diventeranno sempre più soffocanti e ci costringeranno a fare diversi backtracking (mai troppo lunghi) per prelevare e depositare oggetti nella "safe room". Ciò non è necessariamente un problema, perché introduce una piccola - e personalmente apprezzabile - meccanica di gestione delle risorse, ma con l'aggiunta di oggetti particolari che, premiando una particolarmente pericolosa esplorazione, espandessero l'inventario, si sarebbe risolto il problema per tutti senza snaturare il gameplay. Bastava poco.
Il problema principale, anche piuttosto grave, è un altro: la responsività dei comandi in certe situazioni. Generalmente non ho trovato problemi in tal senso, ma capita che per interagire con certi oggetti o aprire porte, il nostro personaggio deve mettersi in una precisa posizione, nè troppo vicina nè troppo lontana, altrimenti l'interazione non andrà a buon fine; se, malauguratamente, dovessimo trovarci in una situazione delicata in battaglia e avessimo parecchia fretta, rischieremmo di perdere tempo nel trovare la giusta posizione e subire quindi danno gratuito, che a volte si traduce in un game over. Certi dettagli sono poco rifiniti.

Un piccolo paragrafo lo voglio dedicare al character design, nello specifico allo "stile anime" dei personaggi. Ammetto di non apprezzare, di mio, particolarmente questo stile, che si manifesta principalmente nelle sequenze filmiche, ma in questo caso mi sembra che stridesse parecchio con il mood generale dell'opera e, inoltre, non mi sembra granché nemmeno a livello tecnico/artistico.
Fortunatamente la storia è talmente convincente da oltrepassare questo piccolo ostacolo, nonostante ciò fornisca un tocco di originalità al tutto. Io avrei lasciato ogni cosa in stile poligonale, ma comprendo le altre scelte.


Buon comparto sonoro, le ost contribuiscono a creare quell'atmosfera opprimente che viene richiesta ad un buon horror che si rispetti oltre che momenti emozionanti nei punti clou dell'avventura.
Assente il doppiaggio però, grande mancanza che avrebbe potuto migliorare esponenzialmente l'esperienza. Peccato davvero.

Molti elogi, ma anche molte critiche per Signalis, eppure il voto ricevuto è oltre la media. Come mai?
Semplice, perché ogni punto di questa recensione va relazionato al fatto che a sviluppare questo gioco siano state SOLAMENTE due persone, con qualche aiuto esterno per la colonna sonora. Considerata l'elevata quantità di livelli e situazioni differenti che offre Signalis, si stenta a credere che solamente due persone siano riuscite a gestire complessivamente tutto con abile maestria, al netto di un, forse, eccessivo attaccamento al passato, con citazioni a volte al limite del plagio.
Quindi veramente complimenti!
Ovviamente il gioco lo consiglio a tutti, amanti e non del genere, perché una volta iniziato, non si può far a meno di venire rapiti dalle atmosfere misteriose di questa piccola perla horror.

Operazione di mercato molto triste e menzognera, al limite della class action.
Evitatela come la peste, non finanziate questo insulto alla storia videoludica.

Stupendo lo stile artistico acquerellato, quasi impressionista, che costituisce lo scenario di ogni livello, ma è troppo staccato dal resto del gioco, dà quasi la sensazione che sia lo sfondo di un teatro di burattini.

Storia e dialoghi non molto convincenti, talvolta superficiali e eccessivamente retorici o falsi sentimentali.

Sebbene sulle altre cose ci si potrebbe anche passare sopra, ciò non si può fare per quanto riguarda la struttura ludica. Con un gameplay noioso ed estremamente scriptato, Dordogne risulta un punta e clicca che finge di dare al giocatore una certa libertà di approccio agli enigmi, ma in realtà questa non esiste, in quanto anche compiendo gesti sbagliati il gioco correggerà in automatico il giocatore facendogli forzatamente ottenere la soluzione corretta.
Da segnalare pure l'impossibilità di skippare le singole battute prima che il testo venga composto per intero e un piccolo problemino con le collisioni. Non sono errori macroscopici, ma a lungo andare danno molto fastidio.

Insomma, giocate Dordogne solo se siete appassionati dello stile artistico colorato ad acquerelli e se amate la Francia. Altrimenti non ne vale la pena.

Scenari mozzafiato tendenti al fotorealistico con giochi di luce che farebbero invidia a tante produzioni AAA ed opprimenti atmosfere da horror di prima qualità, riescono parzialmente nell'intento di nascondere un gameplay scarno, che fa solo il minimo sindacale per portare avanti la storia.

Questo è "Bramble: The Mountain King", un gioco di contraddizioni, capace di farci toccare il cielo con un dito e al tempo stesso di precipitare ai mille all'ora su un letto di chiodi ardenti.
Giocandolo capirete meglio ciò che vi ho appena scritto, ma cercherò di essere più specifico.

A livello artistico Bramble è un titolo di prima qualità, che grazie al sapiente utilizzo del formidabile Unreal Engine fornisce al giocatore scenari di assoluta bellezza, come enormi distese di incontaminati prati fioriti, corsi d'acqua finemente realizzati, tanto da farti venire sete, creature fantastiche provenienti dal ricco folklore scandinavo, sfarzosi castelli medievali, ma anche anfratti macabri, grotte polverose, notti spaventose illuminate solamente dalla torcia dei nemici in perlustrazione, villaggi in rovina e mostri di ogni tipo. Non penso di allontanarmi troppo dalla verità nel dire che ogni singolo livello, dal primo all'ultimo, potrebbe tranquillamente venire scambiato per un dipinto di prim'ordine. Inoltre, ad aumentare maggiormente l'immersione in queste antiche atmosfere fiabesche, ci pensa l'egregia colonna sonora, capace sia di mettere paura e tensione, sia di addolcire i nostri cuori con canti tipici di quelle terre.
A spezzare parzialmente l'incantesimo interviene il protagonista Olle, o per meglio dire le sue animazioni: lente, legnose e fraintendibili, nello specifico quella della corsa, stonano parecchio con la perfezione generale; l'effetto che noi giocatori otteniamo, anche considerando che raramente lo sfortunato bambino, al suo passaggio, influenzi in qualche modo l'ambiente circostante, è quello di un fantasma, un'entità posta solo in un secondo momento sullo schermo, che si muove su un altro piano.

Per quanto riguarda il game design di questo gioco c'è poco da dire. Povero e superficiale, per il 90% del tempo bisognerà percorrere un neanche tanto largo corridoio senza che, anche a causa di una breve longevità complessiva, nessuna meccanica venga opportunamente approfondita. La sconcertante linearità delle situazioni di gioco rischiava seriamente di rendere il gioco estremamente noioso, da droppare senza rimorsi, salvo poi venire salvato dal sopracitato comparto artistico. Inoltre, a causa di alcune discutibili gestioni della profondità della mappa, sarà difficile interpretare i movimenti del nostro personaggio, con la conseguenza di aumentare le morti ingiuste o dubbi sul da farsi.
Non tutto è perduto però, perché a Bramble arrivano in soccorso le bossfight, non particolarmente complesse ma divertenti da giocare, oltre che spettacolari.

Sulla storia niente da dire, è un'interessante rivisitazione in chiave horror di alcune fiabe o leggende popolari della scandinavia.

Luci e ombre per Bramble, costantemente luci alternate a ombre e ombre alternate a luci. Nonostante tutto, mi sento in dovere di consigliare questo titolo a chiunque, dato che un'esperienza del genere difficilmente la si può vivere altrove nel panorama videoludico.

Piacevole action/platform ispirato a titoli come Shadow of the colossus (per quanto riguarda i "boss") oppure Gravity Rush (per estetica e per movimenti). Solar Ash è un titolo dai colori sgargianti, iper dinamico e iper chiassoso per via del suo sistema di vibrazione del controller.

Inizialmente non dà una buona impressione, perché per quanto il dinamico sistema di movimento basato sul pattinaggio risultasse molto divertente e spettacolare, nonostante una calibrazione dei salti non sempre precisissima, il level design si dimostrava piuttosto claustrofobico e privo di attrattiva, riproponendo sempre gli stessi schemi senza alcuna evoluzione. Fortunatamente, tuttavia, dal terzo "mondo" in poi la qualità delle mappe di gioco migliora esponenzialmente, regalando al giocatore sezioni di gameplay da togliere il fiato, grazie all'aumento in ampiezza delle aree su cui potersi muovere liberamente, senza timore di incappare in ostacoli che interrompano la fluidità degli spostamenti.
Prima ho parlato di "action", in quanto nel corso della nostra esplorazione ci imbatteremo in alcuni mostriciattoli da abbattere con pochi attacchi, rendendoli di fatto una pura formalità, talvolta fastidiosa e basta. Le sezioni action sono dunque superflue ad un livello tale che la loro assenza non sarebbe minimamente notata. Grande spreco di risorse e di opportunità.

Esteticamente nulla da dire, è una prelibatezza per gli occhi, nonostante qualche glitch grafico e una ripetitività di fondo nei primi momenti di gioco, tra aree e nemici simili.

La trama di Solar Ash diventa più profonda man mano che si prosegue nel gioco, arrivando a toccare temi quali l'accettazione del lutto o del trauma. Il problema è come viene narrata; i dialoghi sono piuttosto altalenanti, talvolta intriganti talvolta banali e superficiali. Forse proprio a causa di questo non si riesce mai a creare un vero climax; una volta giunti alla fine lo spettatore accoglie il colpo di scena finale in maniera passiva, senza grande trasporto emotivo. Stesso discorso per il true ending, piuttosto scontato.

In conclusione, al di là di qualche bug che mi ha costretto a riavviare il gioco, posso ritenermi soddisfatto del tempo passato in compagnia di Rei e dei suoi pattini quantistici. Certo, avrei preferito vivere un'esperienza più curata nei dettagli, ma alla fine si tratta sempre di un team indie. Se avete attivo il Game Pass, dateci un'occhiata, ne varrà la pena.

Se con "Rebirth" la saga di Amnesia aveva segnato un grande ritorno alle origini, nelle meccaniche survival e nelle tipologie di puzzle, con "The Bunker" si è deciso di prendere una strada diversa, meno narrativa e più focalizzata su un gameplay di stampo rougelike.

Come suggerisce il titolo, Amnesia: The Bunker è ambientato in un rifugio sotterrano di una trincea francese durante la prima guerra mondiale. I soldati superstiti sono attaccati da due fronti: i tedeschi da una parte, una bestia infernale dall'altra. Ogni tanto sarà possibile raccogliere note e pagine di diario che descrivono alcuni aspetti della vita in trincea, ma la storia non verrà approfondita ulteriormente, lasciando i fan del franchise per la prima volta a bocca asciutta.

Interessante, tuttavia, si dimostra il game design. Per quanto inizialmente possa sembrare il classico horror "alla Amnesia", ben presto, una volta raggiunta la "hub centrale", ci si accorge della novità: l'obiettivo finale - ossia la fuga dal bunker - è molto vicino, ma per attuarlo sono necessari diversi oggetti da raccogliere, in stanze diverse di partita in partita, stando attenti a non finire tra le grinfie della temibile bestia che si cela nell'oscurità, che potrà spuntare dal nulla in qualsiasi momento in stile "Alien Isolation".
Soprattutto se giocato ad alte difficoltà (cosa non consigliata per il corretto apprezzamento di questo gioco in blind), la possibilità di venire divorati da un momento all'altro, unita ad un sistema di checkpoint manuale e ad un sound design degno di nota, instillerà nel giocatore un costante alto livello di ansia per la maggior parte dell'esperienza di gioco. Come horror funziona egregiamente, ma a conti fatti non riesce a garantire tanta varietà, in quanto il nemico è uno solo per tutto il gioco e i modi con cui puoi superare un ostacolo, a differenza di quanto sbandierato dal gioco stesso, sono parecchio guidati e non lasciano spazio all'inventiva.

Nonostante ad ogni playthrough i codici e i percorsi varino, non trovo alcun motivo per cui dovrei rigiocare a The Bunker, dato che non ci sono extra interessanti o finali completamente diversi da sbloccare compiendo determinate azioni. Per questo il gioco fallisce in parte su ciò che si era prefissato di essere, ma rimane comunque una apprezzabile esperienza horror da giocare in periodo di halloween.
Consigliato, ma con riserva. E soprattutto solo se in sconto.

Cocoon rappresenta, da un punto di vista artistico, il miglior videogioco nel panorama indie, condividendo questa posizione con pochi altri esponenti del calibro di Cuphead. Tante sono le ambientazioni di questo gioco, ognuna curata nei minimi dettagli, che si sovrapporranno e mescoleranno senza soluzione di continuità, rallentamenti o caricamenti di alcun tipo. Le numerose animazioni ambientali che si susseguiranno fluidamente senza sosta ad ogni nostro progresso forniscono a Cocoon un'inaspettato senso di dinamicità e di vitalità, nonostante l'atmosfera "biopunk", quasi post-apocalittica, suggerirebbe il contrario.

Lo stile silenzioso e interpretativo di questo gioco è un marchio di fabbrica di Jeppe Carlsen, già autore di Limbo e Inside che, per l'occasione, abbandona il puzzle-platform 2D per abbracciare un più ampio puzzle-adventure in 3D dagli sporadici toni action.
Sebbene, tuttavia, il lato creativo dell'opera sia ineccepibile, quello narrativo non riesce a impressionare e a stimolare alla riflessione il videogiocatore; essendo il protagonista di questa avventura una specie di insetto, diviene difficile immedesimarsi in lui e comprendere le sue azioni, rendendo così la chiave di lettura di quest'opera molto più sfuggente.
Non che questo sia necessariamente un difetto, ma inevitabilmente crea un certo distacco emotivo tra il giocatore e il gioco.

Pad alla mano, Cocoon si dimostra un solido puzzle game, piacevole da giocare e con enigmi che sì sono mediamente facili e basati su una singola intuizione, ma al tempo stesso soddisfacenti da portare a termine, anche grazie ad un level design degno di nota.
Sinceramente avrei preferito vedere sviluppati questi puzzle in maniera decisamente più approfondita. La caratteristica principale di questo titolo era la possibilità di entrare in ed uscire da un mondo all'altro senza soluzione di continuità, creando delle strutture talvolta paradossali o a matrioska, in cui le varie mappe di gioco potevano essere mescolate e inserite dentro o fuori rispetto ad un'altra specifica mappa (tranquilli, è molto più complicato a dirsi che a farsi). Ebbene, Cocoon non riesce, se non alle battute finali, ad utilizzare questa caratteristica per creare enigmi intricati e risolvibili tramite più livelli di ragionamento. Occasione persa, che spero possa venire riparata tramite contenuti aggiuntivi o tramite il rilascio di un editor per la creazione di nuovi enigmi.
Nel gioco sono presenti anche quattro piccole bossfight, volte a spezzare la monotonia schematica che poteva affliggere la prima metà di gioco. Piacevoli, ma pure formalità.

Cocoon è un indie da giocare assolutamente e, soprattutto per chi possiede l'abbonamento al Game Pass, diventa un obbligo imprescindibile. Purtroppo non dura molto, sulle 5 ore lo si riesce a portare a termine, ma ne valgono assolutamente la pena.

Premetto, non sono un fan di Pinocchio, sebbene conosca la storia originale e abbia visto diversi sceneggiati in tema. Tuttavia, nell’ormai lontano agosto del 2021, quando mostrarono il teaser trailer di questo “Gioco coreano basato su Pinocchio” ne rimasti particolarmente affascinato, come sempre quando nei videogiochi vengono inclusi riferimenti alla letteratura e al folklore italiano, così iniziai a seguirne il processo di sviluppo. Mese dopo mese, trailer dopo trailer, la mia attenzione verso quel gioco in particolare aumentava sempre di più, vuoi per le atmosfere Bloodborniane, vuoi per l’art design che si rifaceva all’art nouveau e allo steampunk, vuoi per lo stile di gioco alla Sekiro… Lies of P possedeva tutti quegli elementi che soddisfacevano appieno il mio gusto estetico e ludico. Perciò, cosa poteva andare storto?
Tutto.

E invece nulla. Anzi, è riuscito a superare persino le mie più rosee aspettative; considerando il fatto che gli sviluppatori siano un team emergente, piuttosto ridotto e senza un enorme budget, ciò desta parecchio stupore!
Come dico sempre, anche questo non è un gioco perfetto, ma i difetti qui sono in parte attribuibili alla piattaforma in cui l’ho provato (PS4 slim) e in parte all’inesperienza dei developer, quindi nulla che non si possa aggiustare in futuro.

Leggendo diverse recensioni e guardando alcuni video, sento molto parlare di “gioco troppo derivativo” o “gioco troppo conservativo nell’ottica dei souls-like”. Io mi permetto di dissentire. Sì, è vero, Lies of P si ispira enormemente ai lavori di Miyazaki, su tutti Bloodborne e Sekiro, così come per la storia al romanzo di Carlo Collodi “Pinocchio”, ma possiede altresì il merito di rielaborare il tutto in maniera fresca e intelligente, dando origine a nuove meccaniche di gioco approfondite e divertenti. Lies of P sarà pure un souls-like, ma con un suo carattere ben definito! Tra armi mixabili, gestione della durabilità dell’arma “in diretta”, albilità passive sbloccabili battendo nemici particolari, distruttibilità delle armi avversarie con parate perfette, sistema di quest nelle quali è possibile scegliere se mentire o dire la verità e chi più ne ha più ne metta, quasi ci si dimenticherà di star giocando ad un figlio adottivo del sottogenere “souls-like”. Addirittura ci sono delle parti che rasentano il dungeon crawler!
Gli unici elementi che ho trovato contorti riguardano le animazoini di combattimento, obiettivamente un po’ troppo lente e invalidanti, e l’errato bilanciamento di alcune bossfight, in quanto, talvolta, si ha l’impressione che il game design sia stato ideato più nell’ottica di punire le disattenzioni (in stile Dark Souls 2) piuttosto che di premiare le abilità del giocatore, se non dopo diverse ore di pazienti tentativi su tentativi (infatti pochi giorni dopo la release ufficiale del gioco sono state rilasciate patch correttive atte a nerfare la foga di alcuni nemici).
Per il resto, i boss in generale sono ben ideati, alcuni tra i quali sono veramente stupendi sia da vedere che da affrontare, con l’eccezione di uno solo completamente sbagliato; in quanto il boss da solo occupa gran parte della già piccola arena, spesso il giocatore si ritrova senza la possibilità di vedere l’azione di gioco, dato che la telecamera rischia frequentemente di incastrarsi tra il bordo della mappa e il nemico.
Inoltre, Lies of P possiede una longevità sorprendentemente consistente, senza che si faccia uso di lungaggini non necessarie.

La trama è quell’elemento che, più di tutti, mi ha lasciato di stucco; è incredibile come, partendo da una base fiabesca e datata, si sia riuscito a sviluppare un’intricata rete di sottotrame che toccano diversi argomenti complessi, come il rapporto con il divino, la contemplazione dell’essenza della vita, la ribellione della vita artificiale, l’origine del male etc, senza tralasciare poi colpi di scena e momenti memorabili. Davvero, l’unica barriera che la distanzia da quella dei lavori di Miyazaki è la sua “non totale originalità”, perché per il resto non avrebbe nulla da invidiare al suo collega giapponese.

I personaggi poi sono tutti stupendi, ognuno con il suo carattere distintivo, la cui storia arriverà, in un modo o nell’altro, ad intrecciarsi con quella di P, specialmente per quanto riguarda gli abitanti dell’hotel Krat che diverranno, in tutto e per tutto, una grande famiglia. Molto apprezzabile è anche la loro dinamicità, in quanto commenteranno tutti ogni nuovo evento di trama e, talvolta, si sposteranno e interagiranno tra di loro.
Peccato solo per alcuni NPC messi a caso in certi punti della storia, che ci attaccheranno di default senza alcun particolare motivo e che, una volta morti, non vengono particolarmente approfonditi.

Lies of P possiede un ampio catalogo di tracce musicali, alcune delle quali suonabili al grammofono e sbloccabili tramite quest, tutte di una qualità eccelsa.
Peccato solo per le ost dei boss, non così memorabili come ci si aspetterebbe da un gioco di questo tipo.

Il più grande difetto di questo gioco, ma non per colpa del team di sviluppo, è rappresentato dall’aspetto tecnico. Sarò io che l’ho giocato su una console old gen, ma sono veramente troppi i popup grossolani visibili a schermo in alcune zone di gioco, principalmente quelle sopraelevate, per non parlare di una lentezza evidente nel caricare certe texture, laddove vengano effettivamente caricate col tempo. Il framerate rimane stabile ad un livello accettabile, ma se si dovessero fare sessioni di gioco prolungate, essi inizieranno a calare considerevolmente, per poi ripristinarsi una volta chiuso e riaperto il gioco.
Con questo non voglio dire che graficamente e tecnicamente sia brutto, anzi, l’art design è delizioso e l’architettura di certi edifici ti lascia senza fiato, ma tutto ha un prezzo, un prezzo che una PS4 slim non è disposta a pagare per intero.

Lies of P è una splendida sorpresa, che nonostante fosse promettente già dalle prime presentazioni si è dimostrato all’altezza delle sue fonti di ispirazioni, se non qualcosa di più concreto. Chiunque ami i soulslike non può fare a meno di provare questo peculiare titolo e chiunque ami la storia di Pinocchio o sia affascinato dal folklore italiano non può fare a meno di assistere a questa incredibile avventura.
Perché, in fondo, tutti noi siamo Pinocchio e tutti noi ci sentiamo coinvolti nel suo viaggio avventuroso alla ricerca dell’umanità tanto desiderata.
Perciò forza, venite anche voi, clever ones, l’hotel Krat vi attende con impazienza!

Breve avventura introspettiva che affronta, in un'ambientazione surreale, gli stati d'animo più intimi di coloro che hanno vissuto una tragedia, quali paura, tristezza, rabbia e depressione.

Il gameplay è ridotto all'osso, in quanto non era quello il focus dell'opera, e ciò è un gran peccato; per quanto si trattasse di un puzzle game piuttosto lineare e banale, i comandi, i movimenti e i suoni, uniti ad un comparto artistico con ottime idee e ben realizzato, rendevano il tutto molto piacevole da giocare. Non mi sarebbe dispiaciuto provare una versione più estesa.

Tuttavia, come già espresso in precedenza, il motivo principale per cui è stato creato The Forest Quartet va ricondotto ad un tributo musicale nei confronti di una persona realmente esistita e, purtroppo, deceduta.

In ogni caso io lo devo valutare come videogioco e questo voto è più che adeguato.
Se anche voi lo avete riscattato gratuitamente dallo store di Epic, non esitate a giocarci e vi garantisco che passerete un'oretta piacevole e rilassante in compagnia di un titolo originale.

Pikmin è una perla dentro una conchiglia.
Dietro un involucro di personaggi buffi e atmosfere infantili si nasconde un videogioco dal gameplay solido, appagante e assuefacente, che stimola il pensiero tattico e la rapidità di esecuzione; il tempo a nostra disposizione sarà una risorsa importante ma limitata, perciò dovremo fare del nostro meglio per gestire la situazione oculatamente e risolvere imprevisti efficientemente.

Per molte persone, la questione del tempo limite è considerata un lato negativo dell'esperienza, ma io la penso all'esatto opposto: senza avere tutto il tempo a disposizione, il giocatore è costretto ad esplorare solo una piccola area della mappa e a concentrarsi solo su quella zona, rendendo così ogni run unica e aumentando il livello di esplorazione.
Non sono molti i livelli (o meglio, i "mondi") di questo titolo, ma sono abbastanza grandi e possiedono, al netto di qualche scelta indecifrabile, un level design arguto, pieno di interconnessioni, scorciatoie segrete e zone dall'aspetto differente.

La trama, in pieno stile Nintendo, è solo un pretesto per giustificare le azioni di gioco... anche se in alcuni casi diventa qualcosa di più profondo. Tra una giornata (le "run" sopracitate) e l'altra, il nostro protagonista esprimerà un breve pensiero su ciò che ha vissuto fino a quel momento, arrivando talvolta a riflettere su questioni delicate e misteriose, come la morte, la paura di non rivedere la propria famiglia, ponendosi eventualmente il dubbio che la sua influenza sui Pikmin, esserini alieni che ci aiutano a riparare la nostra navicella, non abbia fatto altro che insegnar loro la violenza e lo sfruttamento.
Certo, sono solo pensieri fugali, buttati lì su due righe di testo, però sono rimasto colpito da questo piccolo tentativo degli autori di inserire una chiave di lettura adulta in un gioco anche per bambini.

Graficamente è estremamente curato, tanto da risultare piacevole anche al giorno d'oggi. Sebbene il design dei nemici risulti particolarmente anonimo e ripetitivo, questi ultimi risultano buffi e divertenti da scoprire.

Ciò su cui, invece, sono rimasto deluso, riguarda il comparto sonoro, composto da pochissime tracce differenti, nessuna delle quali risulta veramente memorabile. Da giocarlo senza audio a giocarlo con audio cambia davvero poco.

Pikmin è un gioco breve, ma piacevole, un ottimo passatempo per ammazzare la noia e un titolo imperdibile per chi è appassionato di videogiochi e/o di retrogaming. Consigliato a tutti.

Più che gioco, si parla di storia interattiva. Le interazioni sono ridotte all'osso e ciò che dovrebbe essere la caratteristica principale di L.Misfortune, ossia la meccanica delle "scelte e conseguenze", non offre tutta quella varietà che si potrebbe presumere.

La storia, ambientata nell'intrigante universo narrativo di Fran Bow, avrebbe del potenziale per diventare memorabile, sebbene verso la sua conclusione sfoci in situazioni prevedibili e poco originali.

A differenza di Fran Bow, in questo gioco i dialoghi sono interamente doppiati e piuttosto discretamente, nonostante talvolta si faccia fatica a distinguere le parole della protagonista; va bene imitare il tono di voce che può avere una bambina della sua età, ma quando si esagera con lo "sbiascichio" delle parole il risultato è solo fastidioso.

L'art design è simpatico ma poco ispirato, nulla a che vedere con l'intrigante stile dark del precedente Fran Bow.

Ciò che indubbiamente colpisce di questo indie è la schiettezza con cui viene mostrato allo spettatore, tramite dialoghi e scenografia, il forte disagio che pervade le zone più povere della Svezia, il tutto visto dal punto di vista innocente di una gioiosa bambina, che, in quanto tale, non comprende sempre cosa le stia succedendo attorno e, talvolta, si perde in battute infantili inappropriate, probabilmente un sistema di autodifesa per proteggersi dalla malvagità del mondo adulto.
E' un peccato che tutto questo non sia stato sorretto da un gioco all'altezza, ma è anche vero che a svilupparlo sono state due persone in croce con un budget infinitesimale e non bisogna dimenticarlo in fase di recensione.

Consigliato prevalentemente a chi ha apprezzato molto Fran Bow, ma anche in quel caso lì consiglio di aspettare sconti vantaggiosi o bundle per acquistarlo.

Rigiocato e platinato ad un anno di distanza dalla mia blind. Il dover fare 8 run identiche per ottenere tutti gli emblemi non è il massimo, ma il gioco è talmente bello che me le sono godute tutte.
So che per molti è considerato un "meraviglioso disastro", ma per me è meraviglioso e basta. Certo, ci sono molti filmati e relativamente poco gameplay, ma quest'ultimo è talmente curato e innovativo da venire apprezzato proprio per questo, non per la quantità ma per la qualità. Non parliamo poi delle musiche perfette e struggenti, della storia affascinante e coerente con la storia del mondo irl e di uno dei finali migliori di sempre nel panorama videoludico.

E' un peccato che MGS4 non sia mai uscito dalla PS3, e che quindi non sia facilmente recuperabile, ma vi prego non dimenticatevelo quando inizierete a recuperarvi tutta la saga dei MGS. La saga non poteva che finire con un capolavoro assoluto.

This is good... isn't it?